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Gas Naturale - GPL - GNL

di Carlo Stagnaro

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Italgas-2i, il futuro del settore è ad un bivio

Nessun beneficio ai consumatori e rischio boomerang per le finanze pubbliche. L'Antitrust dovrà imporre paletti severi a meno di sconfessare sé stessa

Gas Naturale - GPL - GNL

Nelle prossime settimane, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato dovrà pronunciarsi sull'acquisizione del secondo operatore nazionale della distribuzione gas, 2i Rete Gas, da parte del primo, Italgas (v. Staffetta 23/12/24). Non è una decisione semplice: sia perché si tratta di un'operazione senza precedenti, data la dimensione dei soggetti coinvolti, sia perché le conseguenze vanno ben al di là degli effetti immediati del merger. Anzi, si può dire che si tratta di un passaggio decisivo per la governance del settore.

Come per ogni altra concentrazione, l'Antitrust deve mettere, su un piatto della bilancia, i benefici attesi, principalmente legati alle sinergie tra i soggetti coinvolti, cercando di capire se e in che misura essi potrebbero generare un vantaggio anche per i consumatori; sull'altro piatto, gli effetti di lungo termine in termini di minore concorrenza, che inevitabilmente vanno a detrimento dei consumatori. Nel caso della distribuzione gas, per prassi consolidata lo scrutinio si concentra sull'impatto che la riduzione del numero degli operatori potrebbe avere sulle future gare d'ambito. L'analisi, dunque, tiene conto di alcuni fattori: la dominanza all'interno dei singoli ambiti (tipicamente fatta coincidere col controllo di una quota dei Pdr superiore alla metà), che potrebbe conferire un vantaggio determinante all'incumbent; la dominanza negli ambiti circostanti, che potrebbe rafforzarne la posizione; il rischio che, con l'acquisizione, venga meno un probabile partecipante alle procedure negli Atem interessati.

Italgas ha una quota superiore al 50% in 47 ambiti, 2iRG in altri 37, mentre congiuntamente superano la metà dei Pdr in 111 ambiti su 172; di questi, in 53 si collocano addirittura al di sopra del 90 per cento. Sono numeri impressionanti: non solo il soggetto risultante si troverebbe ad avere una posizione largamente dominante in un numero spropositato di ambiti, ma la diffusione sul territorio nazionale renderebbe la situazione ancora più critica. I pochi Atem in cui la nuova Italgas non sarà dominante sono circondati da Atem in cui lo sarà (con l'unica, parziale eccezione del Nordest). E lo scenario sarebbe ancora più estremo se il ministro Gilberto Pichetto Fratin desse seguito alle indiscrezioni circolate tempo fa sull'accorpamento degli ambiti (https://www.staffettaonline.com/articolo.aspx?id=386869), di cui l'Antitrust non può non essere a conoscenza.

Ammesso quindi che l'Autorità dia il via libera all'operazione, non potrà non subordinarla a sostanziali dismissioni. Ma quanto rilevanti? Si possono fare alcune ipotesi, sulla base dei precedenti (relativi però a concentrazioni assai più circoscritte) oppure prendendo a riferimento il duplice criterio del 50% nel singolo Atem e della dominanza negli Atem circostanti. In un articolo di prossima pubblicazione sulla rivista “Energia” viene effettuata una stima secondo questi due approcci, che porta a risultati analoghi: verosimilmente, l'Antitrust dovrà imporre dismissioni – negli Atem in cui la quota congiunta supera la metà dei Pdr – stimabili complessivamente nel range 2-3,5 milioni di Pdr, corrispondenti a qualcosa tra la metà e i tre quarti della consistenza degli impianti attualmente gestiti da 2iRG. Ma non è finita. Perché, a meno di sconfessare la logica coerentemente seguita in tutti i casi comparabili, l'Agcm dovrebbe tenere conto del fatto che, in molti degli Atem coinvolti, 2iRG rappresenta il principale contendente e forse l'unico potenziale concorrente nelle future gare. Nel caso più rilevante, quello relativo all'acquisizione di Snam (che allora aveva in pancia Italgas) da parte della Cassa depositi e prestiti, azionista anche di 2iRG (all'epoca Enel Rete Gas) attraverso il fondo F2i, nel 2012 l'Antitrust impose dei severi paletti per evitare ogni forma di coordinamento tra le due aziende. Come può, oggi, rimangiarsi quell'analisi?

L'unica possibile via d'uscita consiste nell'argomentare che i benefici sarebbero così vasti da controbilanciare la sostanziale paralisi delle gare future. E' questa la tesi più volte sostenuta da Italgas, che ha enfatizzato le possibili efficienze operative e quindi le riduzioni tariffarie che sarebbero retrocesse ai consumatori. Ma questa tesi è fragile. Tutta l'evidenza disponibile ci dice che le economie di scala si esauriscono sulla soglia di qualche centinaio di migliaia di Pdr: facendo ipotesi eroiche sugli effetti del progresso tecnologico, si può forse sostenere che oggi l'asticella si è spostata attorno a qualche milione di Pdr. Ma è davvero improbabile che la fusione di un operatore che serve 7,5 milioni di Pdr con uno che ne serve oltre 5 possa generare chissà quale efficienza. Non a caso, i costi operativi riconosciuti dall'Arera in tariffa decrescono con la dimensione, ma la taglia oltre la quale un operatore è ritenuto “grande” corrisponde a 300 mila Pdr: entrambe le aziende sono sopra di un ordine di grandezza, quindi dalla loro fusione non può derivare, per disegno, alcun beneficio ai consumatori finali.

Mentre può derivarne un costo: la minore concorrenza alle gare, o il loro definitivo abbandono, comporterebbe un duplice danno per il paese. In primo luogo, la pur limitata esperienza con le procedure già svolte mostra che, se si presentano più concorrenti, gli sconti tariffari possono essere – questi sì – sostanziosi. Secondariamente, l'accelerazione delle gare gas è uno degli obiettivi del Pnrr, per cui l'Italia ha incassato la rata corrispondente. Sarebbe davvero imbarazzante dover andare a Bruxelles a restituire i soldi già ottenuti, e proprio la presenza di un commissario italiano, Raffaele Fitto, obbliga la Commissione a essere inflessibile.

Insomma, l'operazione non può produrre benefici né per le aziende coinvolte, né per i consumatori, né per il paese, mentre il rischio che si trasformi in un boomerang per le finanze pubbliche è concreto. Il governo dovrebbe riprendere il filo interrotto tempo fa, varando la riforma del decreto criteri e ridando linfa alle gare (che, peraltro, hanno visto la pubblicazione di numerosi bandi nelle scorse settimane). L'Antitrust, che peraltro lo chiede da tempo, ha modo di rimettere il paese sulla giusta carreggiata: se bloccasse l'acquisizione, o comunque la subordinasse a tali e tante dismissioni da farne venire meno il razionale, toglierebbe le castagne dal fuoco all'esecutivo, che non potrebbe non tirare un sospiro di sollievo.



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