La statale 417 che dall'aeroporto di Catania arriva a Gela tagliando l'angolo sudorientale della Sicilia si snoda in una landa disabitata, punteggiata di casali e rimesse abbandonate. In alto, come roccaforti, sfilano a distanze siderali Mineo, Caltagirone, Niscemi. Il resto è un paesaggio di colline brulle e vallate di agrumeti, cereali e, qua e là, distese di carciofi.
“Stiamo vivendo una trasformazione epocale”, dice il responsabile R&M di Eni, Giuseppe Ricci, aprendo con un riferimento alla transizione energetica la conferenza nella grande sala convegni all'interno del complesso petrolchimico di Gela. Centinaia di persone assistono al battesimo, alla rinascita di un impianto fermo ormai dal 2014 (v. Staffetta 07/11/14). “Una trasformazione”, prosegue Ricci, “che va vista come un'opportunità per migliorare la vita sul pianeta, per ridurre il baratro tra ricchi e poveri”. E che Eni sta affrontando lungo tre direttrici: riduzione delle proprie emissioni, diversificazione della produzione con più gas e meno olio, fonti rinnovabili.
“Li vede quei buchi, ingegnere? Lì si ritiravano i pastori”, dice l'autista indicando degli anfratti nelle pareti rocciose sulla nostra destra. “Come mai la pianura sembra disabitata?”, chiedo. “Non ci sono ville, casali, fattorie?”. “Queste sono zone un po' isolate, capita che, se lasci qualcosa in casa, poi non la ritrovi…”.
“L'impianto di Gela è molto più grande della bioraffineria di Venezia”, prosegue Ricci, “e più flessibile: sarà in grado a breve di trattare qualsiasi materia prima. In futuro produrremo anche carburanti per aviogetti”. È insomma “una bioraffineria dinamica, un laboratorio importante, un aggregatore di altre realtà economiche”. Realtà che comprendono il mondo agricolo, definito da Ricci un “nuovo upstream” perché tra i piani “green” di Eni c'è anche il ritiro del biometano o del bioGnl prodotto dalle aziende agricole. Anche il vescovo di Piazza Armerina Rosario Gisana sottolinea l'importanza della collaborazione con il mondo agricolo, la necessità di “avviare nuove sinergie, come si dice oggi, perché il territorio possa ripartire”. Nel progetto di riconversione della raffineria è compreso un impianto pilota per il waste to fuel che produrrà un carburante per navi dalla frazione umida dei rifiuti urbani, mentre sono allo studio tecnologie per riciclare plastiche attualmente non riciclabili e altri rifiuti da gassificare in idrogeno o metanolo.
A metà strada circa tra Catania e Gela si passa accanto al Cara di Mineo, il centro di accoglienza per migranti. Un comprensorio che ricorda quei complessi della penisola arabica dove vivono i dipendenti delle compagnie petrolifere, strappati al deserto come oasi artificiali, o i mall. “Prima ci vivevano gli americani, quelli della base di Sigonella. Adesso non ci sono neanche più gli immigrati. Quando c'erano loro qui c'era pure un po' di lavoro”.
Per Eni la riconversione della raffineria di Gela è stato il più grande cantiere in Italia dopo l'impianto Est di Sannazzaro. E il nuovo impianto, dice Ricci, “sarà attuale anche quando il mondo sarà a emissioni zero di CO2”. Del piano fa parte anche la creazione di un Safety competence center, 140 persone che lavoravano alla raffineria e sono state “riconvertite” diventando esperti in sicurezza che ora lavorano anche per diverse realtà all'estero.
“Eni inizia a essere leader nel mondo in questo settore”, sottolinea Bernardo Casa, direttore industriale della raffineria. “Oggi produciamo un milione di tonnellate l'anno di biocarburanti, entro il 2020 puntiamo ad avviare l'impianto che ci consentirà di liberarci dell'olio di palma nel giro di pochi anni. Abbiamo progettato già modifiche all'impianto per produrre bio jet fuel. La pubblica amministrazione e gli imprenditori abbiano il coraggio di aggrapparsi a questo treno che teniamo in moto”.
La raffineria è una cittadella. I capannoni per i fertilizzanti in disfacimento, gli alambicchi arrugginiti e i nuovi impianti scintillanti, in funzione, che occupano una frazione dell'area del petrolchimico. Con i pullman facciamo il giro dell'intero complesso. Ci fermiamo allo steam reformer, dove il metano viene trasformato in idrogeno, e passiamo accanto all'impianto della Ecorigen, un'azienda che rigenera i catalizzatori per Eni, con una trentina di dipendenti, e che amplierà le proprie attività per garantire il pre-trattamento degli oli di frittura che in futuro alimenteranno la bioraffineria.
“Non vorrei essere una nota stonata”, dice nel suo intervento Lucio Greco, sindaco di Gela sostenuto da una maggioranza PD-Forza Italia. “Siamo contenti delle iniziative ma voglio ricordare che Eni si è insediata in città nel '58 e ha operato per tanti anni in mancanza di norme ambientali. Tutto questo ha creato il disastro ambientale che tutti conosciamo. Non posso non evidenziarlo e non richiedere più investimenti e più attenzione dall'Eni e dalle istituzioni. Perché non si procede più rapidamente alle bonifiche e alla prevenzione sanitaria per tutti? È necessario portare avanti la politica delle tre “R”: riconversione, risanamento, ristoro. Gela dal 2014 ha subito un crollo sociale, economico e occupazionale”.
“Un tempo Gela arrivava anche a 90mila abitanti, oggi siamo si è no 70mila”, conferma l'autista.
Avvicinandosi alla costa meridionale spuntano, sui crinali, gruppi di pale eoliche. Quando le torce della raffineria compaiono sull'orizzonte, ci scivola accanto un altro comprensorio, la sede di Enimed, un complesso con vaghi accenti moreschi di colore amaranto, e poi i primi pozzi di petrolio, in funzione. “Ma il greggio qui è pesante”, puntualizza l'autista.
Anche l'upstream “tradizionale” fa parte del progetto di rilancio dell'area. I giacimenti di gas in mare Argo e Cassiopea attendono il via libera dall'amministrazione centrale per essere messi in produzione: un investimento da 1 miliardo e 300 milioni di euro: “abbiamo l'ok della Sicilia, speriamo di averlo anche dal ministero dell'Ambiente”, dice il presidente della raffineria Francesco Franchi. “Sarebbe un cantiere di due anni con mille occupati diretti su questo territorio”.
L'assessore regionale all'Energia e servizi di pubblica utilità, il veneto Alberto Pierobon, sottolinea che ci sono risorse previste dal protocollo del 2014 che ancora non sono state spese e fondi per le bonifiche bloccati al ministero dell'Ambiente. “Il problema”, aggiunge, “è che le comunità non si fidano più né della burocrazia, né di Eni. Per questo bisogna ragionare in modo più che concertato”.
La strada di ritorno è immersa in un'oscurità totale, rotta solo dal bagliore di una stazione di servizio Esso, evidentemente rinnovata di recente.
“La bioraffineria è solo un punto di partenza”, conclude Franchi. “Uno straordinario sito di archeologia industriale, oltre che di innovazione. La fiamma pilota era spenta da cinque anni, vederla riaccendersi è un segno di speranza”.