Dopo una rincorsa iniziata prima delle feste, l'attenzione per il caroenergia ha raggiunto il culmine nell'ultima settimana, coi prezzi del gas ai massimi da due anni, un rinnovato grido di allarme dell'industria, ancora sofferente per le ferite del 2022-23, e l'intensificarsi delle discussioni su possibili contromisure, a livello sia nazionale - in Italia un'ondata di mozioni e poi emendamenti al DL Emergenza, prima di una brusca battuta di arresto con rinvio a un prossimo DL - sia UE, in un dibattito al calor bianco sul prossimo piano Affordable Energy.
I nodi da sciogliere nel valutare possibili misure per alleviare gli impatti distruttivi dei rialzi sono principalmente di due ordini: da un lato riuscire a non sovvertire le regole dei mercati distorcendone il funzionamento, dall'altro trovare le risorse e capire dove farne gravare il peso. Vista la natura e la portata delle misure in discussione, vogliamo concentrarci su quest'ultimo aspetto, non per indicare soluzioni ma per richiamare l'attenzione su aspetti spesso dimenticati; a cominciare dal fatto che il caroenergia ha perdenti, ma anche più vincitori di quanto si dica.
Una categoria di "big gainers" dei prezzi elevati l'hanno certamente tutti ormai identificata: come già emerso durante l'emergenza del 2022, sono i produttori di elettricità da fonti con costi marginali trascurabili, come le rinnovabili, o che comunque non utilizzano gas, come il grande idro e il nucleare.
Non a caso molte misure oggi in discussione puntano proprio nella loro direzione, ad esempio i meccanismi - alcuni prospettati nel rapporto Draghi di settembre - contro cui ieri Eurelectric ha energicamente sollevato lo scudo. Ma è anche il caso delle variazioni sul tema energy release dibattute in questi giorni in Italia, che mirano ad assoggettare a prezzi "equi" l'energia eolica e solare incentivata (energia che ai prezzi attuali, in molti casi rende ben sopra i piani finanziari originari) o l'idroelettrico, come già visto finito in una singolare doppia partita col tema bollente del rinnovo delle concessioni.
Tuttavia questa non è l'unica categoria di grandi vincitori in fasi di prezzi energetici elevati. Una seconda l'ha menzionata in modo molto diretto Massimo Beccarello del Cesisp/Università Bicocca al seminario di Gas Intensive martedì: sono le imprese che hanno intermediato le importazioni di Gnl Usa, che in questi anni hanno sostituito buona parte dei volumi di gas russo venuti meno con la crisi russo-ucraina, realizzando margini elevatissimi dalla differenza tra il prezzo di ritiro (legato all'Henry Hub americano) e quello di vendita in UE (il Ttf olandese). Tutte o quasi aziende europee.
Un terzo gruppo, in buona parte coincidente col precedente, sono i soggetti che nell'estate 2022 hanno venduto a Germania e Italia gli ingenti volumi necessari a riempire gli stoccaggi, a prezzi portati a livelli record proprio dal meccanismo di obbligo e acquisto centralizzato messo in campo dalla UE e dai singoli Stati, e con un onere per le casse pubbliche di 5 miliardi per l'Italia, più del doppio per la Germania.
Qui oltre alle grandi major internazionali del Gnl (i big del settore sono Shell, Eni e TotalEnergies, quest'ultima anche grande produttore di Gnl russo, che l'UE fatica a sottoporre a sanzioni) e ai colossi del trading internazionale (es. Vitol, Trafigura o Gunvor), vanno inclusi nell'appello anche produttori "amici" come la Norvegia, il cui ministero dell'economia - che da febbraio è guidato dall'ex segretario generale Nato Stoltenberg - ha assistito in questi anni a un boom di introiti da export gas senza precedenti. E da ultimo i fondi speculativi, che da mesi fanno incetta di contratti sul Ttf, in attesa di passare all'incasso quando gli Stati europei dovranno ottemperare ai rigidi obiettivi di riempimento degli stoccaggi che essi stessi si sono dati.
Senza dimenticare i bilanci degli Stati, a cominciare dal nostro. Troppo spesso si tende a dimenticare che le fasi di prezzi elevati, che pesano sui bilanci di famiglie e imprese, si traducono in una messe di entrate per l'erario attraverso le imposte indirette. Secondo i dati del Mef, nel 2021, primo anno di forte rialzo dei prezzi dell'energia e conseguente aumento dell'inflazione complessiva, il gettito Iva dello Stato è balzato a 147 miliardi contro i 136 del 2019. Nel 2022, anno dell'emergenza, si è passati poi a 172 miliardi e 175 nel 2023. Per il 2024 manca ancora il dato di dicembre, ma il cumulato dei primi 11 mesi evidenzia un ulteriore rialzo di quasi il 4%.
Numeri alla mano, in altre parole, lo Stato si trova in conflitto di interesse con i cittadini, quando si parla prezzi in aumento. E quando si pensa alle misure contro il caroenergia anche di questo si dovrà pur tenere conto.