Mentre, complice la calura estiva, il solo pronunciare la parola petrolio è un sacrilegio, la domanda mondiale di greggio di mese in mese cresce, macinando record su record. In questo contesto, Salvatore Carollo critica l'indifferenza generale di chi dà per scontato che “il denaro del futuro sarà verde”. Incrociando i dati contenuti nei rapporti di luglio dell'Agenzia Internazionale per l'Energia, dell'Opec e dell'Us Energy Information Administration, l'esperto infatti nota che il sistema globale degli stoccaggi è cambiato a causa di problemi logistici nel sistema di raffinazione, cui si sommano gli effetti del turismo petrolifero generato dalle sanzioni alla Russia.
Scrivere dei commenti sugli sviluppi del mercato petrolifero internazionale e cercare di ricavare una cornice di riferimento per il mercato italiano appare ormai un esercizio intellettuale che sembra non toccare le corde degli analisti energetici nostrani. Ci comportiamo ormai come se il petrolio non esistesse più, come se fosse un marginale fastidio da sopportare ancora per alcune settimane. Insieme alle zanzare.
L'ondata di caldo poi sembra trasformare la parola petrolio in un sostantivo da non pronunciare per nessun motivo. Di recente, si sono svolte le assemblee annuali delle varie compagnie petrolifere ed energetiche europee. È stato uno spettacolo divertente sentire i vari Ceo parlare del business e delle strategie delle loro compagnie senza mai pronunciare la parola petrolio (o gas naturale).
Eppure, il 90-95% delle loro attività e dei loro profitti sono totalmente correlati alla produzione di idrocarburi. Ed è stato ancora più affascinante vedere la corte di giornalisti accettare queste presentazioni senza battere ciglio, senza fare una domanda, senza chiedere da dove verranno i profitti e i dividendi per gli azionisti nei prossimi anni.
Diamo tutti per scontato che il denaro del futuro sarà verde (ma sarà il dollaro?).
Così ci fa credere l'Europa di Timmermans e così la pensa il mainstream italiano.
Andremo in Africa con il nuovo piano Mattei basato sulla creazione di piantagioni di arbusti di ricino, altamente infestanti e invise alle popolazioni locali, per produrre le biomasse per alimentare le nostre bioraffinerie. Non si capisce quale sarà il vantaggio per le popolazioni africane e quale sarà la ricaduta sul costo dell'energia per il nostro paese.
Se volessimo arrivare preparati all'appuntamento europeo sui biofuels alternativi, ci vorrebbe una scelta industriale netta e robusta, di cui non c'è assolutamente traccia.
Intanto, il mondo va avanti per la sua strada, assolutamente ignaro delle nostre elucubrazioni.
La domanda di petrolio continua a crescere battendo, ogni mese, il record storico precedente. Le riduzioni sperimentate durante i mesi della pandemia sono relegate al passato ed ai libri di storia.
I rapporti pubblicati dai principali osservatori mondiali, ovvero l'Agenzia Internazionale dell'Energia (Iea), l'Opec e l'Us Energy Information Administration (Eia), ci forniscono un quadro informativo complessivo che dovrebbe far preoccupare le classi dirigenti dei vari paesi europei ed i manager delle varie compagnie petrolifere.
Al contrario, l'atteggiamento di fondo sembra essere quello di evitare di sapere e raccontare alla gente quello che vuole sentirsi dire. Va tutto bene e non ci sono problemi.
Eppure, i conti non tornano.
Ovviamente, non mi sembra il caso di entrare nel dettaglio dei dati chiaramente estrapolabili dai rapporti citati, ma alcuni elementi riportati fanno riflettere.
Abbiamo seguito le critiche rivolte all'Arabia Saudita per il taglio della produzione che il paese ha imposto all'OPEC prima e poi ulteriormente a sé stesso su base volontaria. È apparso ai più come se i sauditi volessero imprimere al prezzo del petrolio una forte spinta al rialzo (venendo incontro, fra l'altro, alle esigenze finanziarie della Russia membro dell'OpecPlus).
In realtà, se si esaminano i dati del quadro complessivo dei fondamentali si scopre che:
1. La domanda ha raggiunto il livello di 102 milioni di barili/giorno, soprattutto per la spinta proveniente dai mercati asiatici. Il 70% di questi aumenti sono attribuiti alla Cina ed il resto diviso fra India e gli atri paesi della regione.
2. La capacità di raffinazione operativa effettivamente utilizzata nello stesso periodo di tempo è stata pari a 82 milioni di barili/giorno, ovvero 20 milioni di barili/giorno al di sotto del livello della domanda. Il che vuol dire che parte della produzione di petrolio greggio prodotta nei campi petroliferi non è stata trasformata in tempo reale in prodotti finiti richiesti dai mercati al consumo ed è finita in parte ad aumentare il livello delle scorte viaggianti (su nave) e a terra.
3. I margini di raffinazione, anche se fra ampie oscillazioni, sono stati altissimi, al di sopra della media degli ultimi 20 anni, garantendo ai raffinatori profitti significativi. È quindi da ritenere che i livelli di utilizzo degli impianti sia stato il più alto possibile, compatibilmente con la disponibilità degli impianti ed i programmi di manutenzione.
4. Esiste quindi, a livello mondiale, una mancanza di capacità di raffinazione, che non si manifesta in modo chiaro e visibile, soprattutto presso i paesi industrializzati del Bacino Atlantico, per la totale disomogeneità nella distribuzione degli impianti nelle varie aree geografiche del mondo. Infatti, molte raffinerie operano soltanto per alimentari i mercati locali dei loro paesi e quindi all'interno di mercati chiusi, senza alcun interscambio con i flussi dei mercati internazionali.
Nel corso del 2023, si è visto, in particolare, un aumento della domanda di due prodotti molto critici per i paesi occidentali, le benzine (di circa 500 mila b/g) ed il jet fuel (di oltre 1 milione di b/g).
I sistemi di raffinazione europea ed americana non sono stati in grado di far fronte a questa domanda incrementale semplicemente aggiustando i cicli di raffinazione o modificando il mix di greggi da mandare in lavorazione.
Per coprire la domanda, gli operatori dei mercati hanno fatto ricorso ad importazioni rilevanti di questi prodotti dai paesi asiatici e del Golfo.
Le sanzioni europee sui prodotti russi hanno aggravato il problema, nonostante, spesso, si siano osservati fenomeni di turismo petrolifero con prodotti che dalla Russia sono andati verso il Golfo e l'India per poi tornare ad alimentare i mercati internazionali e finire in occidente. Ovviamente, producendo il risultato finale di un aumento dei prezzi, che si è sentito e si continuerà a sentire sempre di più.
Queste dinamiche di mercato hanno prodotto una variazione del sistema globale degli stoccaggi.
Si sono verificati due diversi fenomeni. Da un lato si è visto un aumento delle scorte di greggio (accumulato in attesa di essere avviato agli impianti di raffinazione) che, in qualche modo, ha fatto da freno al possibile aumento dei prezzi che sarebbe scaturito dalle aspettative create dagli annunci dei tagli dell'Arabia Saudita.
Dall'altro si è verificata una riduzione netta e sistematica delle scorte di prodotti finiti, che ne ha reso rigida l'offerta e critica la disponibilità sui mercati finali.
Da sottolineare l'impressionante livello delle scorte di benzina nei paesi OECD, scese al di sotto dei valori degli ultimi cinque anni.
Il che vuol dire che il mercato sta andando avanti a vista. Impossibile programmare flussi affidabili di approvvigionamento guardando al di là di qualche giorno.
Qualunque perturbazione nel sistema dei flussi di approvvigionamento (mancanza di alcuni tipi di greggio, fermata di impianti di raffinazione, …) potrebbe innescare spinte al rialzo dei prezzi incontrollabili e non governabili.
Non c'è consapevolezza di questi potenziali rischi per il nostro sistema di approvvigionamento e per i suoi impatti sul sistema economico e sociale del paese. Nessuno vuole vedere. Si guarda solo al francobollo dove viviamo e ci rifiutiamo di guardare al mondo ed agli equilibri globali dell'energia.
Anche se il mainstream pensa il contrario, basta guardare a cosa succede nel mondo per comprendere che il petrolio continuerà ad essere parte integrante del nostro sviluppo economico e tecnologico.
Occorre investire seriamente e massicciamente per farne un uso tecnologicamente più elevato. Esistono le potenziali tecnologie per farlo e si potrebbe consentire al mondo intero di usufruire dei prodotti che verrebbero così ottenuti.
Ovviamente, ci vorrebbero risorse importanti ed un approccio non ideologico-religioso per affrontare il problema della riduzione delle emissioni in atmosfera. Ma soprattutto ci vorrebbe la disponibilità a studiare a capire a valutare concretamente le soluzioni a livello planetario. E ci vorrebbe una vera classe dirigente.
Speriamo che piova presto e passi l'ondata di calore.