“L'Italia ogni anno spende quasi 22 miliardi di euro in sussidi ambientalmente dannosi (Sad). Vanno al più presto eliminati, reinvestendo queste risorse nella conversione ecologica per creare buon lavoro e buona impresa”. È uno dei punti centrali del programma di Elly Schlein, eletta domenica segretaria del PD. Un programma in cui il clima e l'energia occupano un ruolo di primaria importanza. E che proprio per questo andrebbe aggiornato. Magari “internalizzando” nel partito le competenze in materia, invece che farsi fornire contenuti dall'esterno per trovarsi inevitabilmente più esposti alle pressioni di questo o quel gruppo di interesse.
L'esempio dei sussidi ambientalmente dannosi (Sad) è emblematico. Quei 22 miliardi secondo Schlein sono i soldi da utilizzare per rendere possibile la transizione. Il problema è che quei 22 miliardi non esistono. O, a voler essere generosi, non sono un tesoretto.
Esempio tratto dal Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi (che il ministero dell'energia dovrebbe aggiornare ogni anno): tre miliardi di euro di Sad sono rappresentati dalla differenza tra l'accisa sul gasolio e quella sulla benzina. Per eliminare quel Sad bisognerebbe alzare le accise sul gasolio e portarle al livello della benzina. È questa la proposta?
Altro esempio: lo sconto sull'accisa sul gasolio per l'autotrasporto merci, che vale circa un miliardo e mezzo l'anno. È un sussidio all'autotrasporto e non al gasolio. C'è un'alternativa? Attualmente no ma, come già in parte accade, si può pensare a un “décalage”, per cui lo sconto sarà legato alle prestazioni ambientali dei mezzi e progressivamente aggiornato.
Ancora: l'accisa sul gasolio agricolo è circa un quinto di quella piena. Per eliminare il sussidio l'accisa andrebbe quintuplicata.
A toccare quei “sussidi” ci hanno pensato tanti governi negli ultimi 15 anni. E non è un caso se le uniche voci su cui si è intervenuto sono misure del tutto marginali e dal valore irrisorio (v. Staffetta 31/01/22). Non si sono toccati perché (come gli stessi governi hanno realizzato solo dopo aver messo mano alla questione) sono per lo più misure di politica industriale o sociale, su cui le alternative sono ancora molto lontane dall'essere disponibili. E per le quali serve una politica industriale e non parole d'ordine.
Che si tratti di un argomento politicamente fasullo, buono per programmi elettorali ma del tutto inservibile nella pratica di governo e amministrazione (un po' come le “componenti anacronistiche delle accise”), lo dimostra il fatto che sia il PD che il M5S chiedono da settimane di ri-tagliare le accise sui carburanti, una misura che sarebbe un Sad all'ennesima potenza. E se chiedono di tagliare le accise con la benzina a 1,8 euro/litro, sarebbero in grado di aumentarle agli autotrasportatori?
C'è sicuramente bisogno di una riforma di queste disposizioni fiscali. Nel 2015 il governo Renzi pubblicò il primo rapporto sulle spese fiscali, il cosiddetto tabellone (v. Staffetta 04/11/15), adottato sulla base di una legge del governo Letta che disponeva un riordino delle agevolazioni fiscali. Riordino da attuare progressivamente attraverso un esame annuale delle misure in vigore e delle alternative disponibili, con un approccio quindi basato sui numeri e sull'elaborazione di politiche. Un approccio sicuramente più adatto rispetto a quello propalato da imbonitori che indicano tesoretti miliardari dove non ci sono, cui una politica che voglia raggiungere dei risultati non può affidarsi.
Dire “eliminiamo al più presto i sussidi alle fonti fossili” fa capire che l'elaborazione politica è ancora molto parziale su questo punto centrale. E significa indurre chi ascolta a pensare: certo, colpiamo i petrolieri, chi mai scenderà in piazza per difenderli? Una semplificazione politicamente inconsistente che si scioglie come neve al sole appena si entra nel merito. Insomma, sulla politica energetica è meglio aggiornare un po' il catalogo.