Ci sono i dati positivi dell'elettrico su emissioni a vita intera e total cost of ownerhip; ma anche lo svantaggio delle gigafactory europee nella corsa alle materie prime per le batterie, il nodo sociale della riconversione della filiera automotive e la tenuta delle reti locali in presenza di un passaggio massivo alle auto a batteria: sono insomma ancora poche le discese e molte le curve sulla strada mobilità sostenibile, mostra Massimo Nicolazzi nel suo intervento all'Energy Forum della Adam Smith Society dell'11 marzo. Suggerendo cautela su un "all in" a favore l'elettrico che mandi in soffitta anzitempo le opzioni bio e ponga divieti avventati alle motorizzazioni termiche. Tanto più nel trasporto pesante e avio dove, per aspettare il Godot di idrogeno ed elettrico, si rischia di prolungare la vita di diesel e cherosene. Di seguito il testo integrale dell'intervento.
Vorrei tentare non tanto un key note speech, ma giusto di formulare al panel che verrà qualche key question sui temi posti dalla mobilità che si fa sostenibile.
I numeri della decarbonizzazione. Il settore trasporti è responsabile del 7,9% delle emissioni globali. Di questo, e per sottosettori, il 41% è da traffico passeggeri (light); il 22% da veicoli medium/heavy; 11% è shipping; e 8% aviazione.
Ci interroghiamo sul come, sul dove e sul quando; ed anche sul se il dopo Covid ci lasci con un diverso modello di mobilità.
Comincio dal new normal. Ci aumentano insieme le possibilità di lavoro a distanza e la concentrazione urbana delle popolazioni. Il pendolarismo su gomma che va a diminuire anche in presenza di un aumento assoluto della popolazione; e soprattutto nei centri urbani nuove forme di detenzione temporanea del veicolo (car sharing, noleggio a breve termine, …) che vanno a sostituire la forma proprietaria. Il modello di sviluppo automobilistico di massa dal modello T di Ford in poi ha dominato l'Occidente. Dove la domanda oggi diventa se le nuove forme di organizzazione del lavoro e di urbanizzazione non ne vadano a celebrare il declino; e con che ricadute sui settori industriali coinvolti.
La prospettiva sembra essere di meno automotive in assoluto. Ma ragioni di sostenibilità sembrano anche dettare la necessità che l'automotive che resta cambi motore. Il declino del vecchio modello porta a restringere la base occupazionale del settore. E il cambiar motore la può diversificare geograficamente. Cambia la componentistica; e con essa può mutare il luogo della sua produzione. La tecnologia dell'accumulo va a sostituire quella della meccanica di precisione. E' aperto il dibattito su quale sarà il saldo occupazionale netto del cambiamento. Meno mi pare approfondito il tema del se il cambiamento comporterà delocalizzazione (e dunque mutilazione ad es. dell'attuale indotto nazionale e locale). I numeri sono astratti; ma le famiglie concrete. Programmare la riconversione può diventare necessità sociale.
Poi le batterie. Le gigafactories copiosamente annunciate; e però con qualche rischio per i progetti europei. C'è un tema di supply chain che potrebbe non vederci vincenti nella corsa all'accaparramento della materia prima. La mobilità sostenibile, allo stato della tecnologia, tende a eliminare i fossili; e però incorpora minerali nel convertitore/motore. Una sorta di transizione dal giacimento alla miniera. Con le miniere che al netto di svolte tecnologiche (tipo la produzione di litio da brina geotermiche) andranno per lo più a localizzarsi in Africa; e più per ragioni ambientali che geologiche. Le terre rare, per dirne una, non devono il loro nome alla loro scarsità; ma solo alla loro bassa concentrazione nella roccia che le ospita e dunque alla quantità di minerale che è necessario lavorare per produrne. Un po' del concentrarsi in Africa c'entra insomma con l'implausibilità di una miniera a cielo aperto in Val Padana.
La domanda di minerali, al netto ripeto di possibili salti tecnologici, ci è proiettata crescere via auto elettrica in maniera esponenziale; e questo come dicevo può creare problemi al supply necessario alla sua produzione industriale; e per come siamo messi in tema di disponibilità di risorse soprattutto per l'Europa. La Cina ha una supply chain che tra risorse nazionali e diritti africani è completamente captive; e gli Stati Uniti stanno investendo nell'espansione della propria capacità domestica. Le gigafactory europee sarebbero le uniche a nascere senza miniera.
Poi in progresso di tempo e con la maturità del mercato diventerà potenzialmente possibile l'autosufficienza da riciclo, insomma alimentare la produzione di una factory via riciclo dei minerali delle batterie dismesse. Perché questo sia possibile deve però rendersi disponibile una massa critica di batteria dismesse tale da alimentare il ciclo produttivo. Quando sarà potrebbe però essere troppo tardi per consentire all'Europa una quota di mercato che consenta significativa produzione e occupazione industriale.
Qualunque la dislocazione del nuovo, quella dell'alimentazione elettrica dei veicoli leggeri sembra comunque battaglia a esito scontato. Già oggi per loro maggiore efficienza rispetto alle motorizzazioni termiche le auto elettriche oltre un limite di tempo e soprattutto di distanza percorsa sono più economiche in termini sia di Total Cost of Ownership che di emissione a vita intera (poi noi peraltro prevalentemente ne facciamo ancora un uso rovesciato, e cioè le usiamo per brevi distanze cittadine e per pochi anni. Il che è emissivamente peggio dell'alternativa termica; ma ci si augura che impareremo…). Il problema commercialmente è la barriera di ingresso, e cioè un costo d'acquisto ancora sensibilmente più alto rispetto alle motorizzazioni tradizionali. Però qui le notizie sembrerebbero ottime. Al netto di possibili impennate di prezzo di litio, cobalto e assimilati Bloomberg ed altri proiettano il break even a 3/4 anni; e dopo una qualche ritrosia iniziale le grandi case hanno preso a investire massicciamente nello sviluppo elettrico (e difatti la motorizzazione elettrica monopolizza gli annunci pubblicitari). Non manca in definitiva molto al giorno in cui l'auto elettrica costerà meno, consumerà meno e emetterà meno del concorrente. Una decarbonizzazione del traffico leggero che a differenza delle decarbonizzazioni concorrenti potrebbe riuscire a compiersi per solo mercato, e dunque senza necessità di sostegno statale in forma di sussidi o equivalente (e visti tempi e priorità potremmo perciò risparmiarceli…).
La prospettiva sembrerebbe rosea; e però non priva di incognite. Un all in sulla motorizzazione elettrica potrebbe avere una qualche controindicazione. Ci sono, come accennato, un tema occupazionale e un tema di supply chain. Ma anche un tema di resilienza della rete e di investimenti che vi si accompagnano. La rete nazionale può (relativamente) non preoccupare. Ma su tenuta e sviluppo in particolare delle reti locali qualche rassicurazione sarebbe dovuta; che la prima volta l'anno scorso che abbiamo acceso i condizionatori siamo finiti in black out e abbiamo tutti pensato con terrore a cosa sarebbe successo se avessimo avuto anche la batteria in ricarica.
Anche alla luce della necessità di aumentare nel tempo potenza e resilienza della rete e dell'infrastruttura di ricarica la scelta ad esempio di vietare motorizzazioni termiche dalla metà del prossimo decennio potrebbe essere azzardata (e da qualcuno ad es. in Germania è difatti in via di ritrattazione). In relazione alla rete distribuzioni carburanti esistente desta poi qualche perplessità la apparente obliterazione dell'opzione carburanti bio dalle proiezioni sul futuro. Il bio oggi possibile non sottrae terreno per il suo feedstock e in sede di raffinazione l'idrogeno necessario potrebbe dal grigio di oggi farsi abbastanza velocemente verde. Mantenerlo come opzione concorrente all'elettrico darebbe più flessibilità alla transizione e consentirebbe di mantenere in vita almeno una frazione della capacità di raffinazione italiana e dei suoi 21.000 occupati (130.000 contando gli occupati indiretti).
Infine qualche interrogativo sul traffico pesante, marittimo e aereo. Ai settori della mobilità rispetto ai quali l'alimentazione elettrica è ancora in buona parte nel limbo del futuribile. Per alcuni anni il gas in forma di Gnl ci è sembrato lo strumento di transizione alla transizione. Sotto la spinta successiva ai trattati Marpol in direzione della diminuzione delle emissioni di zolfo si è sviluppata a partire dal Mar Baltico e dal Mare del Nord la penetrazione di motorizzazioni Gnl (che oggi è ad es. la modalità di tutti i traghetti norvegesi); e per il traffico su gomma la UE ha favorito la costruzione di una rete di distribuzione oggi in grado o quasi di consentire la circolazione per Europa intera di heavy trucks alimentati a Gnl. Poi sembra essere intervenuta, e prima dell'esplodere del prezzo del gas naturale, una pausa di riflessione se non di opposizione. Del gas si è improvvisamente scoperto che emette e che in produzione e trasporto ci possono essere perdite che finiscono in atmosfera; e se ne è avviata una progressiva demonizzazione. In contemporanea e in parallelo si è scoperto il Godot idrogeno, e si è teorizzata e cominciata a praticare la transizione diretta diesel/idrogeno. Nulla di male, se non che se l'idrogeno ha da essere verde s'ha da aspettare un qualche anno. E che nell'attesa c'è il rischio che prolunghiamo la vita del diesel, che tra prezzi del gas di oggi e incertezza sulla sostenibilità del gas domani c'è il rischio che qualche operatore nel dubbio preferisca tenersi la motorizzazione di cui già dispone.
Stesso tema, mutatis mutandis, per il trasporto aereo. Laddove l'idrogeno è nemico non del metano ma del biocarburante. Si annunciano (tra gli altri airbus) sperimentazioni di motori a idrogeno che potrebbero essere operative dal 2035. Il biofuel avio è praticamente già operativo adesso. Aspettiamo Godot, o riempiamo la sua attesa con qualcosa di comunque meno emissivo rispetto all'oggi?
Qui mi fermo, dopo aver cercato di delineare alcune delle questioni che penso dovrebbero agitarsi intorno alla mobilità sostenibile. Il futuro del settore, il cambiamento occupazionale che accompagnerà le nuove motorizzazioni, la produzione di batterie, la resilienza della rete, il futuro dei biocarburanti. Laddove il tema in sintesi si riduce a capire come rendere economicamente e socialmente sostenibile la mobilità ambientalmente sostenibile.