Mario Draghi è tornato per la seconda volta in pochi giorni (v. Staffetta 22/12) sul tema degli "extraprofitti" delle imprese energetiche, che secondo il premier dovrebbero anch'esse contribuire al contenimento degli impatti del caro energia sui consumatori. Si tratta come detto di un'ipotesi non impensabile (v. Staffetta 16/12), ma al tempo stesso da mettere nella corretta prospettiva, tanto più ora che, secondo indiscrezioni raccolte dalla Staffetta, la cosa starebbe prendendo forma, con i consiglieri del governo al lavoro su una misura da varare a breve.
Il primo punto da sottolineare, a scanso di equivoci, è che nei profitti "fantastici" (parole di Draghi) che alcuni player stanno realizzando, non c'è nulla di irregolare. In condizioni normali, come nei momenti di bassa marginalità nessuno si permetterebbe di invocare un sostegno pubblico per le utility - salvo non si ritenga utile alla sicurezza, come col capacity market -, ugualmente non si dovrebbe neppure parlare di misure "redistributive" quando i risultati crescono.
Se ne parla perché appunto le circostanze sono tutto fuorché normali e l'urgenza di dare una risposta immediata alla nuova tornata di aumenti che incombe non consente di attendere gli effetti di quella che resta la via maestra: una risposta strutturale, su cui in questi giorni si stanno esercitando i maggiori esperti, in particolare sulle pagine della Rivista Energia, e su cui i decisori pubblici - UE in testa - sembrano purtroppo ancora avere poche idee e confuse.
Secondo punto, se decide di andare aventi il governo dovrà fare estrema attenzione a come formula la misura. Draghi ha parlato ad esempio di "produttori e venditori" con una pericolosa generalizzazione. Prima di tutto, come ripetiamo su queste colonne da due mesi (v. Staffetta 15/10), il caro energia non sta beneficiando ma danneggiando gravemente la categoria dei venditori al dettaglio, intendendo con questi la maggioranza non verticalmente integrata, costringendo molti a uscire dal mercato.
Una sovrattassa sui retailer sarebbe totalmente iniqua oltre che priva di senso, innescando ulteriori fallimenti, che da ultimo aumenteranno anche l'onere complessivo per il sistema (come il governo sa, gli insoluti non più recuperabili si socializzano, in UK il conto è già intorno ai 2 miliardi). Non a caso i venditori in queste ore chiedono piuttosto un sostegno per gestire l'esplosione delle garanzie.
Ma anche tra i produttori non tutti stanno facendo "extraprofitti": come già visto, se nel caso di produttori da carbone, da idroelettrico o da altre rinnovabili che vendano la loro produzione sul mercato spot questo è vero, non lo è affatto per chi abbia venduto a termine la produzione mesi fa a prezzo fisso o comunque che non risente quanto lo spot delle fluttuazioni del gas.
E' lo scivolone che il governo spagnolo ha dovuto correggere in corsa a settembre, precisando che il prelievo d'emergenza introdotto allora non si applica a questi ultimi casi. Un errore da non ripetere, tenuto conto che il contenzioso su una misura del genere in ogni caso non mancherà.
Al tempo stesso neppure è possibile sostenere, come fa oggi il presidente di Elettricità Futura Re Rebaudengo sul Sole24Ore, che "gran parte dell'energia verde è pagata a prezzo fisso e basso". Secondo il rapporto annuale del Gse, nel 2020 ammontava a 29 TWh l'energia da rinnovabili affidata dagli operatori al Gestore e da questi collocata sul mercato spot, per un ricavo che con i prezzi bassi di un anno fa raggiungeva circa 1 miliardo di euro, ma che ai prezzi medi della scorsa settimana toccherebbe i 9 miliardi.
In volume è circa un 10% dei consumi nazionali e la metà di tutta l'energia generata nell'anno da eolico, solare, geotermico e biomasse, a cui va andrebbe aggiunta quella ugualmente venduta a spot ma non dal Gse dagli impianti con costi variabili bassi o nulli, come quelli citati sopra. Se la casa brucia mettere un secchio in mano a tutti quelli che la abitano non può essere un tabù.