Lo stato di stress che caratterizza il mercato del gas, delineatosi nel 2009, si è confermato anche per tutto l'anno in corso. Il calo della domanda, la maggiore offerta aggravata dalla maggiore disponibilità di Gnl e dall'effetto shale gas, hanno pesato sui margini degli operatori europei come e più dell'anno passato. Uno stato di sofferenza che ha innescato una nuova fase di confronto con i produttori. E rispetto al 2009 le previsioni delle major su un riallineamento tra prezzi spot e contratti di lungo periodo sembrano decisamente meno ottimistiche. Tutto questo determinerà un'”implosione” del modello di approvvigionamento tradizionale basato sui contratti di lungo termine (LTC), come previsto da alcuni già un anno fa? Una strada diversa, quella di un faticoso e progressivo aggiustamento, a cui però il modello sopravvivrà, sembra ancora la più verosimile.
Quando lo scenario attuale si è delineato in tutta la sua drammaticità diversi analisti hanno iniziato a ipotizzare che quel che non erano riusciti a fare la domanda galoppante, il petrolio a 150 dollari e le pressioni liberalizzatrici della Ue – a innescare cioè una transizione verso mercati a breve e l'abbandono del link oil/gas – lo avrebbe prodotto la recessione. “Una transizione che porterà a un abbandono del collegamento formale al prezzo del petrolio (a favore di un modello centrato sugli hub, ndr) è inevitabile e si può dire sia già iniziata”, scriveva l'Oxford Institute for Energy Studies a settembre 2009. Aggiungendo nel contempo che un fattore determinante sarebbe stata la permanenza più o meno lunga dei fattori che tenevano sotto stress il sistema dei LTC.
Oltre un anno dopo, questo è certo, la situazione non è migliorata. Gazprom vede un richiudersi della forbice tra prezzi spot e long term con una ripresa dei consumi già dal 2012. Ma, con l'eccezione forse di Total, sembra essere rimasta la sola. Diversamente da un anno fa, Eni intravede un possibile miglioramento al 2013-14. Wood Mackenzie parla del 2015. Ancora più pessimista E.On, che solo a gennaio vedeva un “recoupling” già nel 2013 e ora ritiene invece che l'oversupply durerà un decennio. Una posizione peraltro in linea con gli scenari Aie, che vedono una aggravarsi nel 2011 dell'abbondanza di offerta a 200 mld mc contro i 130 del 2009, il tutto con un mercato che resterà lungo per dieci anni.
La divaricazione tra hub e LTC, insieme all'impatto finanziario delle previsioni take or pay, hanno pesato sui margini di tutti maggiori operatori Ue: ne portano i segni le ultime trimestrali di Eni e Edison. E.On ha annunciato perdite nel segmento gas a fine 2010 e per tutto il 2011. RWE ha registrato un rosso di 3 milioni nelle vendite in Repubblica Ceca, solo per citare alcuni esempi. Uno stato di cose che ha fatto alzare ulteriormente la tensione tra produttori e importatori, in un confronto che chiama in causa i fondamenti stessi dei LTC.
Tra le imprese del Vecchio Continente le posizioni sono diverse. Quella più “conservatrice”, per così dire, sembra quella di Eni, che con i suoi maggiori fornitori avrebbe lavorato finora più sui volumi e le tempistiche del take or pay che sulle indicizzazioni. “I contratti di lungo periodo dovrebbero restare il fondamento del mercato e va mantenuta l'indicizzazione al petrolio”, ha detto il d.g. Gas & Power di Eni, Domenico Dispenza, alla recente Autumn Gas Conference di Berlino. Aggiungendo che il gruppo non sta guardando ai prezzi spot per l'indicizzazione dei propri contratti.
Una posizione analoga, anche se meno netta, quella di Gdf Suez. “Abbiamo bisogno dei contratti di lungo periodo, ci serve visibilità per i futuri investimenti ... la gran parte delle controparti dei contratti ha già trovato un accordo”, spiega il vice presidente Jean Marie Dauger. Aggiungendo però che il problema della divaricazione c'è e può essere fronteggiato prevedendo revisioni regolari dei prezzi.
Diversa la linea di altri operatori, come E.On o, come emerso in un recente convegno dell'Aiee coordinato dal presidente Edgardo Curcio, operatori medio grandi come Edison e Sorgenia, per i quali una flessibilizzazione delle relazioni contrattuali e un allontanamento dall'ancoraggio al petrolio a favore dei segnali di prezzo spot sono un obiettivo indispensabile.
Fin qui la situazione. Ma la pressione del fronte dalla domanda finirà davvero per mettere crisi l'intero modello LTC? Premesso che alcune trasformazioni del mercato sopravvivranno anche alla più o meno prossima ripresa della domanda (e trascurando di chiedersi se il mercato stesso abbia desiderio o interesse a un cambiamento radicale), non tutti la pensano così. Più d'un esperto anzi, pensa piuttosto che il modello attraverserà un'evoluzione progressiva ma non crollerà.
E in effetti sembra questa la strada su cui, faticosamente, il sistema si sta muovendo. In un recente editoriale dell'Energy Economist intitolato “Pricing gas: evolution not revolution”, Andrey Konoplyanik riconosce che la previsione di un sistema avviato verso un modello “anglossassone” basato sugli hub ha delle giustificazioni ma “non è in alcun modo inevitabile. E' più verosimile – conclude anzi l'autore – che i LTC vedano un'ulteriore riduzione delle componenti oil indexed e incorporino maggiori opportunità di revisione. Ma resteranno ancora a lungo lo strumento dominante nel mercato”.
Che sia questo il percorso da seguire sembrano peraltro averlo in mente anche i maggiori attori del mercato.
Durante una conference call di inizio novembre, il vice a.d. di Gazprom, Alexander Medvedev, ha sì difeso gli accordi di lungo termine e l'indicizzazione al petrolio, cercando nel frattempo di minimizzare le tensioni con le controparti – a cominciare dalla richieste di arbitrato di Edison – ma ha anche riconosciuto che aggiustamenti sono previsti o sono già stati realizzati. Altri produttori come Statoil e GasTerra (Olanda) hanno detto a Berlino di aver accordato modifiche contrattuali ai loro clienti.
Obiettivo della Russia, apparentemente il produttore meno aperto ai cambiamenti, pare in primo luogo quello di preservare i volumi. Probabilmente, volente o nolente, a costo di qualche concessione. Certo, al momento, quelle fatte sono ancora insufficienti, dal punto di vista dei compratori. Ma la strada di una flessibilizzazione progressiva dei rapporti contrattuali, per allentare tensioni che fanno scricchiolare il sistema, sembra in qualche modo tracciata.
Segnali se ne vedono, anche se di intensità diversa: uno dei più “radicali” lo ha ricordato Claudio Gianotti, d.g. WorldEnergy, al convegno Aiee, citando un recente contratto siglato dalla utility francese Poweo con la norvegese Statoil per la fornitura a una nuova centrale. Partendo dall'assunto che un investimento in un ciclo combinato con forniture indicizzate al petrolio sarebbe stato insostenibile, la società transalpina ha spuntato una formula ancorata a un misto di hub e Borsa elettrica.
Ma in generale anche gli aggiustamenti ottenuti lo scorso anno e in quello in corso dai clienti (es. Eni in Libia) e quelli allo studio sono il segno che una faticosa ricerca di nuovi equilibri va avanti e sta già ottenendo i primi risultati. Lo testimonia, infine, anche un grafico pubblicato il 19 novembre da Alba Soluzioni: secondo la rilevazione della società di consulenza tra gennaio e settembre 2010 il prezzo effettivo del gas importato in Germania sulla base dei LTC si è andato progressivamente allontanando dalla formula “standard” indicizzata al petrolio, avvicinandosi all'andamento dello hub olandese TTF. Al momento si troverebbe a metà strada tra i due. Evoluzione, appunto.