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di G.M.

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Rinnovabili, “siamo un'industria matura, serve un cambio di mentalità”

Intervista al country manager Italia di Statkraft, Bernardo Ricci Armani

Bernardo Ricci Armani
Bernardo Ricci Armani

Cominciamo da uno dei temi più caldi del momento: il disaccoppiamento dei prezzi elettrici dal gas, e in particolare la soluzione dei contratti Ppa di lungo periodo. Qual è la situazione in Italia? Quali i piani di Statkraft?

I Ppa sono un elemento fondamentale della nostra strategia in Italia. L'attività di Statkraft in Italia è partita proprio dall'attività di trading sui Ppa. Lo vediamo come un elemento fondamentale dello sviluppo del mercato. Quella dei Ppa è una terza gamba importante, insieme a FerX ed Energy Release, è quella che tiene in piedi il mercato e la competizione.

C'è ancora spazio per i Ppa?

Sicuramente sì. Questa iper-regolazione è sicuramente un elemento di tranquillità per certi versi, però anche di equalizzazione (per non dire uccisione) di eccellenze nel trading. Per questo è importante che venga mantenuta una forte identità da parte di aziende come noi e come i nostri competitor che hanno comparti di marketing importanti nel fare Ppa, nel sottoscriverli e nel cercare di promuoverli ai clienti. L'obiettivo delle rinnovabili, si è sempre detto, è il famoso trilemma: decarbonizzazione, sicurezza e prezzi. Sulla decarbonizzazione ultimamente c'è meno interesse, la sicurezza sicuramente è un tema. Ma il punto principale sono i prezzi. E il Ppa concorre a un contenimento dei prezzi per l'industria e per i clienti. Non va trascurato solo perché c'è il FerX, perché c'è l'Energy Release. Ci sono anche i Ppa ed è importante che rimangano.

La garanzia del Gse può aiutare il mercato senza soffocarlo?

Secondo me sì. Noi abbiamo obiettivi molto ambiziosi sui Ppa in Italia. C'è una situazione di scollamento tra i costi di investimento che sono ancora alti e il prezzo di energia che, per quanto sia alto, è un po' sceso, e quindi come decisione di investimento il Ppa non è oggi la strada preferita – a meno che non si abbia come strategia di anticipare il FerX, quindi di andare sul mercato dei Ppa per evitare l'intasamento a livello di realizzazione degli impianti con gli Epc. Per cercare di muoversi un po' prima il Ppa rimane una delle strade migliori per ridurre il rischio.

C'è un collo di bottiglia al livello di realizzazione degli impianti?

Sicuramente. Il collo di bottiglia si sta spostando: prima era nello sviluppo e nelle autorizzazioni; ora che quella parte è stata relativamente sbottigliata, si sta spostando verso la realizzazione. Sarà interessante vedere come le grandi aziende e le utility prioritizzeranno. Fino a poco tempo fa quello che si autorizzava si costruiva; adesso quello che si autorizza in parte si costruisce e in parte va ad alimentare il mercato secondario.

Che cifre ci sono sul mercato secondario? In passato si è arrivati a centinaia di migliaia di euro al MW per un progetto autorizzato…

Credo sia difficile tornare ai numeri che abbiamo visto in passato, anche 300mila euro al MW, anche perché se queste cifre si fattorizzano nella tariffa FerX si perde competitività. Poi ogni azienda ha la sua logica. Ma sarà interessante vedere, se si crea un mercato secondario dello sviluppo e si mettono in uno stesso mercato i developer e le utility, chi sarà il terzo soggetto che entrerà ad acquistare. E sarà interessante capire quanto verrà valorizzato il progetto di un developer o quello di una utility. È una nicchia che sarà interessante osservare.

Il nodo autorizzativo è definitivamente risolto? Ogni settimana contiamo un centinaio di MW di Pas…

Sulla Pas c'è secondo me c'è tanta speculazione. Noi non la consideriamo perché riguarda impianti piccoli, sotto la nostra taglia minima: abbiamo costi interni e decisioni di investimento che hanno bisogno di impianti importanti, tanto che stiamo valutando piccole cessioni proprio di impianti autorizzati che non riteniamo più strategici. Ma la Pas non è nelle nostre corde anche per un tema di rischio autorizzativo che l'autorizzazione unica gestisce meglio. Si sta creando un mercato intermedio di progetti relativamente piccoli che stanno consentendo ad alcuni developer di diventare Ipp, che è anche una cosa positiva. Il mercato si sta segmentando: tanti developer stanno cercando di fare il salto, integrarsi e diventare Ipp. Per loro è più facile farlo con la Pas che non con il grande impianto. Mentre le grandi utility stanno capendo che l'impianto piccolo ha costi interni non banali e quindi si stanno concentrando su impianti più grandi.

Come gestite i rapporti con i territori?

Noi siamo un'azienda di Stato, 100% del governo norvegese, quindi il nostro rapporto col territorio passa regolarmente attraverso le istituzioni locali e ci dispiace quando veniamo visti come degli speculatori.

Capita?

Capita perché siamo in un calderone abbastanza competitivo e affollato, con player che hanno modi di lavorare diversi. Noi cerchiamo sempre di fare leva sui nostri valori, sul nostro modo di lavorare: una fortissima compliance, un fortissimo rispetto del territorio. C'è a volte, nonostante questo, una difficoltà nel concertare i nostri progetti col territorio. A volte ci sono chiusure molto miopi. Le istituzioni locali, in particolare i piccoli Comuni, dovrebbero comprendere che nel momento in cui arriva un soggetto come noi c'è un vantaggio, c'è la possibilità di lavorare bene insieme. Se un sindaco ha cinque progetti sul tavolo, quattro di speculatori che vogliono sviluppare per vendere, e uno è Statkraft che vuole investire… Io al sindaco non solo porto un progetto ma porto anche un'analisi territoriale per far sì che le compensazioni diventino sostenibilità, non soltanto compensazioni come una rotonda stradale. Questo è un modo di lavorare che qualche sindaco ha dimostrato di apprezzare, ma se diventasse uno standard ci sarebbe un miglioramento per tutto il settore. La stessa regione Sardegna ha avuto una reazione dovuta al fatto di dover capire cosa succedeva. Spesso le istituzioni locali non hanno gli strumenti per capire chi fa le cose in un certo modo e chi le fa in un altro. E non c'è uno strumento normativo o di mercato che possa separare gli uni dagli altri…

Quale potrebbe essere uno strumento normativo in questo senso?

Alzare le barriere all'ingresso: in questo mercato si entra abbastanza facilmente e l'abbiamo visto con sviluppatori piccoli che sono diventati grandi. Non voglio ovviamente impedirlo, però è importante anche come si fanno le cose. Questo mercato non ha ancora capito che è diventato un'industria matura: ci sono persone in questa fiera che questo mestiere lo fanno da 20 anni. Se si continua a pensare di essere dei pionieri, che tutto è consentito, che non creiamo impatti, che non abbiamo niente da compensare… restiamo autoreferenziali e questo è un errore enorme. L'elemento fondamentale è la concertazione: su questo serve un cambio di mentalità.

Si è parlato anche di interventi contro la saturazione virtuale delle reti.

Quella potrebbe essere una soluzione. O alzare i costi istruttori, o rivedere il sistema delle compensazioni… Ci sono tanti elementi che devono accompagnare la maturazione di questo settore.

È finito il tempo del “todos caballeros”.

Qualcuno dice che ci deve essere spazio per tutti, ma se questo crea un impatto, una polarizzazione… perché questo è successo: le rinnovabili hanno polarizzato il dibattito, se ne parla al bar, contro gli eolici o a favore… Se continuiamo a fare polarizzazione e a non decidere, si perde un'opportunità. Noi come Statkraft abbiamo una presenza in Italia costruita da zero, siamo 100 persone, abbiamo una pipeline importante, siamo posizionati per venire a fare investimenti in Italia. E come noi altri: non perdiamo questa opportunità.

Lavorate solo sul fotovoltaico?

Su fotovoltaico, eolico, i sistemi di accumulo sono ancora un mondo a parte, e per Statkraft c'è anche un interesse nei sistemi di pompaggio.

Solo pompaggio o, eventualmente, ci può essere in prospettiva un interesse sulle grandi concessioni idroelettriche?

No, oggi solo pompaggio. Quello delle concessioni è un ginepraio: non posso portare al mio azionista, al mio consiglio di amministrazione una strategia in un contesto totalmente incerto e imprevedibile. In ogni caso, anche lì la logica è la stessa: quello che spaventa gli attuali concessionari, l'arrivo di soggetti con interessi speculativi, comunque non sarebbe il nostro caso.

Sui pompaggi avete già presentato progetti?

Abbiamo presentato un progetto al Nord e stiamo lavorando su un altro a Sud. Anche in questo caso, non vogliamo sviluppare per poi vedere cosa fare. Vogliamo sviluppare con una chiara strategia e strada da seguire. Anche perché l'Italia ha un bel potenziale, una bella cultura e delle competenze. Si parla tanto di competenze nucleari, ma non perdiamo quelle dell'idroelettrico perché sarebbe un impoverimento non banale dal punto di vista industriale.

C'è grande attesa per le aste del Macse sulle batterie e, un domani, anche sui pompaggi.

Le utility sono molto interessate al Macse sui Bess, ma non ho chiaro quale sia il loro ruolo industriale.

In che senso?

Il Bess in questo momento è una tecnologia molto diversa da eolico e fotovoltaico, non va accorpata alle rinnovabili. È una tecnologia ad altissima intensità di capitali, con ritorni attesi bassi perché consentono la competitività sull'asta, con una parte marginale esposta al mercato, e quindi con una strategia di investimento tipica da asset regolato. Ma c'è un elemento di operation che non so quanto vantaggio competitivo possa portare. La domanda che mi sto facendo è: qual è il soggetto tipico che dovrebbe investire nel Bess? È l'utility? L'utility può lavorare bene sulla parte di autorizzazione, design, sviluppo, procurement, ma poi sulla parte di gestione forse c'è spazio per altri. E poi: l'utility ha voglia di parcheggiare centinaia di milioni di euro per avere un Npv tutto sommato basso? In una parola: ancora non ho capito qual è il “key success factor” del Bess. Il Wacc? Il Capex? L'O&M?

Lavorate anche sull'eolico? E c'è ancora spazio in Italia, magari nell'offshore?

C'è spazio in Italia. Abbiamo una pipeline di eolico su aree interessanti. Certo, non c'è più l'Eldorado di una volta, ma progetti fatti bene ci sono e si possono fare. Ci sono aree che si stanno aprendo, che possono essere interessanti, anche grazie a turbine più performanti. Quanto all'offshore, come Statkraft in Italia non siamo interessati. Stiamo a guardare. Anche lì c'è da capire qual è il giusto ruolo industriale.

In che senso?

Un errore che fa questa industria è di approcciare tutto attraverso il development, che è la parte facile. Secondo me c'è un po' di miopia. Si dice: intanto si sviluppa, poi si starà a vedere, poi si chiede la tariffa… non è il modo in cui lavoriamo noi. Se iniziamo a originare un progetto, nelle more di tutte le difficoltà regolatorie, sappiamo perché lo stiamo generando. Non si genera a sbalzo. Ed è lo stesso motivo per cui non generiamo progetti in maniera randomica. L'eolico offshore è un business da utility dell'energia o da E&P, da chi sa trattare questioni di piattaforme, fondali, indagini geomarine? Chi è l'elemento industriale chiave di questo settore? Non vorrei fosse un'altra opportunità per buttare la palla avanti, e poi ci penserà qualcun altro…

Dal punto di vista associativo come siete posizionati?

Statkraft è in Elettricità Futura, in Italia Solare e in Anev.

Italia a parte, dove opera Statkraft?

Siamo in 20 paesi. La nostra strategia è essere un operatore regionale. Siamo uno dei produttori più importanti in Albania, dove stiamo sviluppando un pompaggio idroelettrico con un occhio di interesse su un'eventuale interconnessione.

Tornano infine ai Ppa, c'è in Italia un problema dimensionale delle industrie?

Più che dimensionale c'è una questione di percezione dell'opportunità. La mentalità tipica italiana da piccola e media impresa fa fatica a capire quanto valore economico, oltre che ambientale, ci sia nei Ppa. Certo, le sberle del 2022-23 hanno fatto aumentare la consapevolezza…

… che però sta già rifluendo.

Esatto, la sensazione è che la memoria sia corta. Per questo cerchiamo di raccontare al mondo industriale gli shock globali, che non ci si può permettere la mancanza di una visione strategica. Anche questo settore deve qualificarsi. Non possiamo più permetterci che ognuno faccia semplicemente il proprio interesse.

In questo possono avere un ruolo le associazioni.

Dobbiamo uscire dalla logica de “la mia azienda” ed entrare nella logica di sistema. Questo è un punto abbastanza condiviso, quando parlo con altri amministratori delegati. Noi siamo in Italia solo da 4 anni, per cui con tutta l'umiltà possibile ma cerchiamo di portare la visione di un'azienda di Stato. La Norvegia nasce idroelettrica ed elettrifica il Paese con l'idroelettrico, ma si trova ad avere anche riserve di oil&gas. La parola sviluppo sostenibile nasce in Norvegia, e significa sfruttare le risorse a favore delle future generazioni. Da qui nasce il famoso Oil Fund, che aveva l'obiettivo di creare valore per il welfare del Paese e per le generazioni future. Se rapportiamo questo concetto all'Italia, l'Italia ha il vento e il sole. Perché non proviamo a ragionare in questo senso, magari mutuando un modello vincente come l'Oil Fund? A portare questa logica delle compensazioni a vantaggio della collettività? Potrebbe essere un modo per “spolarizzare” il dibattito, se riuscissimo a creare un fondo che va a beneficio delle bollette o altre forme di compensazione.



notizie flash - lunedì 7 aprile
Saras