“Siamo preoccupati perché la nostra crescita futura è in messa in discussione per salvare video di gatti”. Così circa un anno fa l'a.d. del produttore scandinavo di munizioni Nammo, intenzionato a potenziare gli impianti per la forte crescita di ordinativi per la guerra in Ucraina, lamentava la concorrenza di un data center Green Mountain, che aveva già prenotato l'intera capacità disponibile sulla rete elettrica norvegese.
Non era allora una semplice notizia di colore e ancor meno lo è oggi, dopo un anno in cui l'onda montante sui mercati dell'intelligenza artificiale ha reso ancora più evidente il problema di come - a quali costi e con quale impatto ambientale - il forte aumento di domanda elettrica atteso nel settore dei data center verrà soddisfatto.
Secondo un report Aie di luglio 2023, nel 2022 nel mondo i data center hanno consumato circa 460 TWh o il 2% della domanda globale di elettricità e nel 2026 tale cifra dovrebbe raggiungere tra 650 e 1.050 TWh (v. Staffetta 07/02), pari a due volte il consumo di un Paese come la Germania.
Per Europa l'Agenzia di Parigi prevede un incremento della domanda per data center per 29 TWh solo nei prossimi due anni, superando il 5% dei consumi a circa 140 TWh. Una crescita ancora maggiore è attesa in Usa, dove dovrebbe raggiungere il 6% dei consumi elettrici nel 2026 a circa 250 TWh e il 9% nel 2030, il tutto contro il 4,5% di oggi. Per la Cina la crescita attesa è inferiore in termini percentuali (sotto il 3% al 2026) ma è la più rilevante in termini assoluti (dovrebbe raggiungere gli oltre 300 TWh tra due anni). In Paesi poi dove l'attività si sta sviluppando particolarmente in fretta, come Danimarca e Irlanda, si dovrebbe arrivare rispettivamente a quasi il 20% e a oltre il 30% dei consumi nazionali.
Per l'Italia dagli ultimi dati resi noti da Terna lo scorso anno (v. Staffetta 17/03/23) emerge chedelle 6,4 GW di richieste di connessione di unità di consumo pendenti a fine 2022, 2 GW si riferivano a data center, situati per l'80% nella provincia di Milano, dove nell'ultimo anno e mezzo hanno nel frattempo continuato ad arrivare nuovi progetti. Tanto che A2A già da tempo ha proposto di valorizzare il calore associato nel teleriscaldamento (v. Staffetta 01/03).
Nel complessivo comparto dei data center, le infrastrutture per l'intelligenza artificale (AI), oggi ancora limitate, rappresenteranno poi nei prossimi anni una parte importante della crescita. Ed è facile comprendere perché: un'interrogazione di ChatGpt, ad esempio, consuma 10 volte più energia di una ricerca su Google.
La domanda è oggi se la decarbonizzazione e la transizione energetica riusciranno a tenere il passo con un simile boom di domanda: ci sarà abbastanza energia rinnovabile per placare la fame dei data center o il processo finirà per impattare negativamente sulle emissioni e quindi sul clima?
Il tema è toccato oggi da un articolo del Financial Times in cui si ricorda come Microsoft, dal 2020 a oggi, abbia aumentato di un terzo le proprie emissioni, per parte importante proprio a causa del suo business dei centri dati. Nonostante ciò, in un convegno svoltosi ieri a Londra organizzato dal Breakthrough Energy group, Bill Gates - che insieme a Jeff Bezos di Amazon e Jack Ma di Alibaba anima il gruppo attivo nella promozione delle rinnovabili - si è detto convinto che la riduzione dei consumi che deriverà dal miglioramento delle tecnologie AI più che compenserà gli incrementi di domanda.
I big dell'Ict come Google, Microsoft e Amazon in questi anni si stanno in effetti distinguendo nel sostegno dell'energia green, ad esempio primeggiando come acquirenti a lungo termine nei Ppa. I giganti tech, ha detto Gates, "sono le persone disposte a pagare un premio" sul costo dell'energia "per contribuire a sostenere la crescita della capacità rinnovabile". Ed è significativo anche che nelle scorse settimane un grande sviluppatore di capacità solare spagnolo come Solaria, abbia annunciato la decisione di entrare direttamente nel business dei data center, integrandolo con quello delle Fer (v. Staffetta 24/05).
Meno ottimistiche, nel contempo, suonano le recenti parole del maggiore produttore di gas degli Usa, Eqt, il cui a.d. al Cera Week qualche settimana fa ha sostenuto che la domanda americana di shale gas sarà mantenuta a livelli elevati, ancor più che dall'esportazione di Gnl, dal fabbisogno futuro dei data center, per i quali non basterà la capacità rinnovabile (v. Staffetta 20/03). E che il problema sia ben presente in tutti i segmenti tecnologici dimostra anche l'esplicito riferimento ai data center nei programmi dell'alleanza europea sugli small modular reactors nucleari (v. Staffetta 26/03).
La questione appare quantomeno aperta, almeno a guardare un grafico riportato in una recente presentazione della banca norvegese Sparebank 1, che evidenzia negli ultimi anni una forte decelerazione dei recuperi di efficienza dovuti all'avanzamento della tecnologia dei data center, con conseguente esplosione attesa della domanda di elettricità nei prossimi anni in questo settore.
A questo si aggiunge poi un secondo tema, quello della concorrenza per una risorsa scarsa - l'energia decarbonizzata, ma come visto anche l'energia in generale - tra un settore tech in energica espansione e l'industria tradizionale.
Se quello dei data center infatti rappresenta un settore ad alta marginalità e nell'insieme piuttosto compatibile con le rinnovabili (fatta salva la necessità di back up da accumuli o fonti convenzionali per seguire il profilo di carico, questione non banale) per il manifatturiero convenzionale le cose stanno spesso diversamente. E' naturalmente solo un indizio da non generalizzare ma fa riflettere ad esempio come l'ultimo rapporto di Energy&Strategy del Politecnico di Milano evidenzi nel 2023, anno in cui le quotazioni energetiche sono tornate su valori più accettabili, una forte attenuazione della propensione delle imprese italiane a investire nell'autoproduzione solare, rispetto all'anno prima, quando i prezzi dell'energia alle stelle fornivano un incentivo ben più forte (v. Staffetta 19/06).