La maggiore sfida dei governi nel futuro sarà finanziaria: dove trovare le risorse per il welfare di popolazioni che invecchiano, per finanziare la transizione verde, la difesa, ripagare i debiti sovrani? Se lo chiedeva sul FT di lunedì la presidente del Banco Santander, Ana Botìn. Osservando poi che nella grande varietà di priorità tra Stato e Stato un elemento è comune a tutti: l'aspettativa che i mezzi verranno dalla crescita economica.
Il concetto, non certo nuovo, porta il discorso su una serie di paradossi ricorrenti nel dibattito su energia e clima, evocati nel prosieguo dell'articolo: la crescita economica, che si concentrerà nei paesi emergenti e in espansione demografica, richiederà energia affidabile e a basso costo. Ma questa, se non vogliamo compromettere gli obiettivi climatici, dovrà anche essere a basse emissioni, sia perché prodotta da fonti low carbon, sia perché dovremo ridurne l'intensità, ossia usarne meno per fare di più.
L'analisi prosegue insistendo sull'indispensabilità di questa seconda "gamba" e, quindi, di uno sforzo globale per l'efficienza energetica. Noi però fermiamoci un momento qui, per confrontare quanto detto con la situazione in Europa: un'economia matura, quindi non tra le candidate a trainare la crescita economica mondiale, ma toccata da vicinissimo dai temi dell'età media in aumento, del debito pubblico e della transizione ecologica, di cui ha l'ambizione di essere un apripista mondiale. Ambiti che richiedono e richiederanno risorse ingenti, che a loro volta ci saranno solo se le economie non segneranno il passo.
Ebbene nel Vecchio Continente la situazione non è positiva: se da un lato sono da tempo visibili i passi avanti sul fronte della decarbonizzazione dell'offerta, dall'altro il calo della domanda energetica, molto importante nell'ultimo biennio, solo in parte è figlio di maggiore efficienza (e del meteo) e dipende invece molto da un sensibile rallentamento di ampi settori dell'economia.
In un contesto in cui la World Bank prevede che il 2024 sarà l'anno peggiore per il Pil globale da 30 anni, gli indici della produzione industriale europea sono ancora tangibilmente sotto i livelli precedenti la crisi energetica del 2022, che ha lasciato tra le sue eredità prezzi medi ben sopra le medie storiche e, insieme al balzo dei tassi, sembra incidere fortemente sul sistema produttivo.
Particolarmente preoccupante la situazione della Germania, tradizionale "locomotiva d'Europa", dove l'industria continua a frenare nonostante gli interventi del governo, dinamica alla base della contrazione senza precedenti della domanda elettrica nel 2023.
Il rischio peraltro è che si inneschino circoli viziosi: da un lato nei prossimi anni una discesa dei prezzi dell'energia, che favorirebbe la ripresa economica, troverà un ostacolo nei costi - per nuova capacità, reti, accumuli, elettrolizzatori - che il sistema dovrà sostenere per la transizione ecologica. Dall'altro quest'ultima troverà il suo peggior nemico nel rallentamento delle economie, sia per le minori risorse pubbliche disponibili sia, ancor più, per il disagio e l'insofferenza dei cittadini, che sovente trova nelle politiche ambientali un bersaglio ideale.
Per questo la diffusa esultanza di queste ore per i nuovi record dell'offerta rinnovabile mondiale nei dati Aie - succede ogni anno da 22 anni - rischia di mancare intere branche del problema climatico. Visto il contesto difficile e la strada in salita, forse la tradizionale retorica green dovrebbe finalmente accettare di diventare adulta.