Sicurezza contro decarbonizzazione: questo, già da qualche anno, ma ancor più dall'emergenza energetica del 2022, è stato il dilemma dell'Europa sulle fonti fossili, in particolare sul gas. Da un lato la necessità di assicurarsene volumi adeguati per rimpiazzare le forniture russe, dall'altro la reticenza a impegnarsi nel lungo termine, per le incertezze sulla domanda e gli obiettivi di phase out degli idrocarburi.
Gli Europei desiderano il Gnl Usa, ma davanti alla prospettiva di un accordo di 20 anni spariscono, lamentava lo scorso febbraio il Ceo di un grande produttore di gas liquefatto americano (v. Staffetta 07/02). In luglio l'associazione mondiale della filiera Lng avvertiva che "avere la necessaria infrastruttura di import non garantisce la sicurezza delle forniture senza corrispondenti impegni di lungo termine", (v. Staffetta 13/07) invitando l'Europa a emulare la Cina, tra i pochi al mondo a siglare forniture pluriennali (v. Staffetta 22/11/22). E ancora il 2 ottobre scorso l'a.d. di Snam Venier ribadiva: "Cina e India stanno sottoscrivendo contratti di lungo termine di Gnl con il Medio Oriente, in particolare il Qatar, se non ci adeguiamo rischiamo di rimanere marginali" (v. Staffetta 03/10).
C'è da chiedersi se Venier si aspettasse una risposta tanto pronta: nemmeno dieci giorni dopo, l'11 ottobre, Total e Qatar annunciavano un contratto di 27 anni su 3,5 milioni di tonnellate annue sulla futura produzione dell'emirato nel North Field dal 2026. Non su base Fob - ossia senza una destinazione predeterminata e con la possibilità quindi di dirottare i carichi ovunque nel mondo secondo le convenienze di prezzo - bensì con consegna prevista in Francia (vincolante?). Ancora una settimana e ieri Shell e Qatar annunciavano un identico accordo, solo con consegna prevista in Olanda. Il tutto con buona pace della bozza di Gas Package in discussione in Ue, che vorrebbe vietare la stipula di forniture long term di gas fossile con scadenze successive al 2049. Entrambe le major acquirenti sono azioniste dei progetti di sviluppo del giacimento qatarino North Field, come del resto lo è anche l'italiana Eni, pur con una quota inferiore, il che potrebbe giustificare analoghi accordi, stavolta con destinazione Italia.
Quel che qui preme sottolineare però sono le due apparenti smentite di quella che da anni pareva un'incapacità europea di uscire dall'impasse (v. Staffetta 06/10). Cosa è cambiato? Forse nulla, gli accordi erano certamente in negoziazione da lungo tempo ed è presto per potervi leggere un segnale di più ampia portata. Nel contempo colpisce la tempistica degli annunci, a pochissimi giorni dall'attacco di Hamas a Israele, tra i cui effetti c'è stata un'accresciuta incertezza sulle possibilità di un incremento nel medio termine delle esportazioni di gas dall'Est Mediterraneo e - in caso di allargamento del conflitto - anche dal Nord Africa. Le aree, cioè, a cui l'Europa nell'ultimo biennio ha guardato con interesse - oltre che agli Usa, alla Norvegia, al Qatar e al Caspio - come fonti alternative alla Russia. In particolare l'Italia, col suo "Piano Mattei" spesso evocato dal governo in carica.
Anche questa potrebbe essere solo una coincidenza, ma proprio in questi giorni le quotazioni del Piano Mattei non sono certo in rialzo. Nonostante l'enfasi posta da sempre sul nome del fondatore dell'ex ente di Stato, la premier Meloni lo scorso 10 ottobre ha disertato la celebrazione dei 70 anni trascorsi dal giorno in cui l'ex partigiano di Matelica tenne a battesimo la sua creatura. Un'assenza più che giustificata, naturalmente, dall'esigenza di manifestare la vicinanza del governo a Israele recandosi alla Sinagoga della Capitale, a cui però è seguito pochi giorni dopo anche l'annuncio del rinvio al 2024 della conferenza Italia-Africa (v. Staffetta 13/10), indicata più volte dalla presidente del consiglio come sede per la presentazione del Piano. Un Piano che punta su una maggiore cooperazione con Paesi storicamente sensibili alla causa palestinese, la cui posizione sulla crisi in corso non si è chiaramente definita o potrebbe cambiare da un momento all'altro. Politicamente un vero campo minato.