Se ai tempi della pandemia avevamo sperato che i passi in avanti dell'UE verso una maggiore solidarietà fossero acquisiti, stiamo vivendo un brusco risveglio. Due anni dopo, davanti a un'emergenza altrettanto grave, torna la spinta a fare ognuno per sé.
Può deludere, ma non meravigliare. Soprattutto non deve distrarre da ciò che va fatto: impedire a chi in Europa è abituato a fare e disfare a piacimento, di riuscirci anche stavolta, a nostre spese. E farlo non lamentandosi, ma con determinazione e intelligenza, usando le leve che abbiamo, che non sono molte ma ci sono, anche nell'energia.
Due esempi di fronti su cui agire con decisione. Primo, le misure contro la crisi dei prezzi. Il dibattito in questi mesi si è schiacciato sul price cap, ma il punto chiave è un altro, come già visto (v. Staffetta 30/09). Se l'Europa nel suo insieme ha una possibilità di trovare una risposta efficace, senza rischiare nel contempo di disgregarsi, può essere solo agendo insieme, prima di tutto sul piano della spesa.
Lo ha capito bene l'Italia, che essendo fortemente indebitata rischia più di altri e chiede quindi già da mesi di replicare il modello Sure per schermare famiglie e imprese dal caroenergia. Sulla questione però si è riaperta la storica faglia coi paesi "frugali" e la Germania, quasi a giocare d'anticipo, ha di fatto già allocato in casa e a modo suo le risorse che per la sua parte potevano servire allo scopo.
Non si tratta più della normale querelle su chi comanda in UE, che va in scena da anni. Qui è in gioco una modifica potenzialmente profonda e irreversibile degli equilibri tra le economie europee, e per alcuni è una vera questione di sopravvivenza: la faglia in pratica è tra chi va a fondo e chi resta a galla da solo, non solo noncurante dei primi, ma a loro spese.
Che deve fare l'Italia? Provare a impedirlo o almeno a limitare i danni, capendo le carte che ha e giocandole con decisione e intelligenza.
Come nota oggi Massimo Nicolazzi (v. intervista), nonostante la Germania stia varando un colossale programma di aiuti di Stato, alimentando a debito un forte vantaggio competitivo delle sue imprese su quelle degli altri Paesi, sembra lo stesso confidare che in caso di emergenza gas possano scattare in Europa meccanismi solidaristici di condivisione dei volumi.
Se ne capisce bene il perché, visti da un lato l'impatto gravissimo - più che da noi - dello stop delle forniture russe sui suoi approvvigionamenti, dall'altro la condizione relativamente migliore in cui si trovano altri Paesi, come l'Italia. Bene, la prossima settimana in Consiglio energia, oltre a battere il pugno sul tavolo, si potrebbe chiarire che siamo disponibili a parlare di solidarietà sul gas, purché Berlino accetti di parlarne su debito e aiuti di Stato.
E non solo in Europa deve passare il messaggio che la solidarietà a senso unico non è accettabile, meno che mai quando la posta è tanto alta. Lo testimonia l'insofferenza in questi giorni degli stessi tedeschi e dei francesi sui prezzi del Gnl Usa.
L'unità di intenti dei Paesi Nato davanti all'invasione russa dell'Ucraina non cancella il fatto che l'Europa di questa crisi sta pagando un prezzo molto più pesante del leader dell'alleanza, che anzi ci sta guadagnando sulla bilancia commerciale.
Con la guerra sulla porta di casa e una recessione incombente, l'Europa ha tutto il diritto di reclamare dai suoi alleati e grandi produttori di gas, non solo gli Usa ma anche la Norvegia, una manifestazione di solidarietà che sia tangibile, non solo a parole. Se anche accettassero di dimezzare i prezzi, del resto, guadagnerebbero sempre un multiplo della media degli ultimi dieci anni.
Il messaggio vale anche e soprattutto per il governo che verrà. La nuova maggioranza, tra tutte quelle degli ultimi anni, ha forse la più numerosa rappresentanza di forze politiche storicamente critiche verso l'Europa. Ora però non si tratta più di criticare da fuori: hanno l'opportunità di giocare la partita in prima persona. E l'onere di farlo bene.