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Rinnovabili e prezzi energia, scoprire le carte

Le aste offrono l'opportunità di rompere il cordone ombelicale col gas. La riformulazione Mite la depotenzia

Il fenomeno paradossale dei prezzi dell'energia elettrica astronomici a causa delle quotazioni record del gas, che i consumatori pagano in bolletta anche a chi il gas non lo usa, tiene banco ormai da mesi. Lanciato dalla Spagna già in estate, ha dato origine all'infuocato e divisivo dibattito sui superprofitti. Una cosa però è divenuta chiara a molti: vista la gravità della crisi dei prezzi si tratta di una contraddizione troppo stridente per non chiedere una soluzione. Ma quale? La questione si è rivelata presto complicata, dagli appelli a superare il sistema del prezzo marginale, alle norme sui prelievi una tantum sugli extraprofitti: un vicolo cieco il primo, per le troppe divisioni in Europa, misura molto invasiva la seconda, oltre che solo transitoria.

Cercando di formulare una versione “liberale” di quest'ultima, a gennaio sulla Staffetta Giuseppe Artizzu proponeva però una strada alternativa: consentire su base volontaria ai produttori da rinnovabili di assoggettare spontaneamente i propri impianti, presenti e futuri, a un meccanismo di contratti a due vie di 7 anni per gli esistenti e 14 anni per i nuovi con prezzi da identificare in aste al ribasso a partire da valori base coerenti con i costi delle diverse tecnologie. Una soluzione equilibrata e strutturale, modellata sul già apprezzato modello delle aste dei decreti Fer. Pochi giorni dopo lo notava su queste pagine anche GB Zorzoli, concludendo però che difficilmente i decisori politici l'avrebbero presa in considerazione perché troppo audace.

Ora abbiamo l'opportunità di fare la prova: un emendamento presentato identico da Pd e M5S alla conversione del decreto legge 17/2022 prospetta esattamente una soluzione di questo tipo. I decisori politici (e il governo chiamato a dare il parere) avranno il coraggio di andare fino in fondo? E anche gli operatori delle rinnovabili sono disposti a sostenere e aderire a un meccanismo che va esattamente nella direzione che a parole viene sempre indicata come già segnata: l'evoluzione verso la contrattazione di lungo termine? O al momento decisivo preferiranno continuare a incassare il prezzo del gas?

Le prossime ore offriranno l'occasione di mettere entrambi alla prova. Sperando che una buona idea, come quella formulata da Artizzu e dagli onorevoli Benamati e Crippa, non finisca vittima di “danni collaterali”: che si tratti dell'indisponibilità dei produttori a rinunciare ai guadagni facili, di quella dei trader a cedere spazi di mercato che considerano solo propri, o della volontà del governo di dare ai soggetti pubblici coinvolti un ruolo più pesante e invasivo di quanto sia necessario. Se la proposta salterà per interessi di bottega poi sarà facile per ciascuno dare la colpa all'altro. Tutto il sistema però avrà perso un'occasione.

Update dell'8 aprile: la Commissione ha esaminato e approvato un testo dei due emendamenti completamente diverso da quello iniziale, su indicazione del ministero della Transizione ecologica che ne aveva chiesto la riformulazione (v. Staffetta 08/04). Il nuovo testo, per guardare il lato positivo, rappresenta un primo passo nella direzione giusta, il che va a merito dei parlamentari proponenti che ci hanno creduto. Nel contempo, con le modifiche dettate dal Mite imbarca una serie di criticità che rischiano di depotenziarlo pesantemente se non di vanificarlo.

La riduzione a tre anni della durata minima del contratto di acquisto da parte del Gse e la coincidenza obbligatoria di durata con quello di vendita, rendono di fatto il meccanismo appetibile solo per gli impianti esistenti, non per quelli nuovi a cui un orizzonte solo triennale è insufficiente per la "bancabilità". Nel caso di durate superiori l'affare diventerebbe infatti non più appetibile per gli acquirenti: già non è facile oggi immaginare clienti finali che si impegnano per tre anni, durate superiori sembrano semplicemente impensabili. Inoltre, su un orizzonte triennale è prevedibile che almeno nell'attuale fase si formeranno prezzi più alti, risentendo della congiuntura, anche qui a danno dell'appetibilità per i clienti industriali che dovrebbero essere i primi beneficiari dello schema.

Infine non risulta comprensibile la decisione di passare a un modello fisico, anziché finanziario come sarebbe stato con i contratti differenziali: in questo modo tutta l'energia assoggettata al meccanismo smetterà di transitare sul mercato del giorno prima, riducendone la liquidità e aumentandone quindi la volatilità. In conclusione, decisamente c'è ampio spazio per migliorare e speriamo che il governo non si faccia sfuggire le occasioni per farlo, o l'intero meccanismo rischia di restare una scatola vuota.




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