Invece che imporre un prelievo forzoso sulla rendita inframarginale di breve termine, come previsto dal decreto approvato venerdì dal Governo (v. Staffetta 21/01), perché non offrire ai produttori di scambiarla con stabilità di prezzo a lungo termine? Lo domanda nell'intervento che segue il manager ed esperto di energia Giuseppe Artizzu*.
L'emergenza sul fronte prezzi dell'energia è il frutto di dieci anni di immobilismo, a difesa aprioristica della centralità del sistema gas nel nostro approvvigionamento energetico. L'emergenza del febbraio 2012, l'invasione della Crimea, l'incidente a Baumgarten del 2017 sono stati campanelli d'allarme acuti quanto inascoltati.
Per mitigare l'impatto in bolletta delle quotazioni stratosferiche del gas, il Governo impone di fatto un'imposta arbitraria di breve termine sulle fonti rinnovabili, il cui costo marginale nullo da benedizione diventa stigma. Risultato: gettito verosimilmente modesto, altissima probabilità di contenziosi, ennesimo shock di incertezza per chi invece le certezze deve attenderle sistematicamente anni.
Ora, non ci sono soluzioni miracolose per recuperare dieci anni di nulla, ma uno sforzo di fantasia perché questa crisi serva a qualcosa si può fare. Invece che imporre un prelievo forzoso sulla rendita inframarginale di breve termine, perché non offrire ai produttori di scambiarla con stabilità di prezzo a lungo termine?
Mi spiego: posto che i produttori di energia pulita a costo marginale nullo sono ovviamente lieti di beneficiare in questo periodo di prezzi all'ingrosso senza precedenti, è anche vero che due anni fa la situazione era opposta, con prezzi medi annui fra i 30 e i 40 €/MWh in tutta Europa, dopo aver visto l'abisso durante la prima ondata Covid in primavera. Questa volatilità di prezzo è il terzo peggior nemico (dopo l'instabilità politica e la paralisi autorizzativa) degli investimenti essenziali alla transizione energetica. È verosimile che i produttori sarebbero lieti di scambiare extraprofitti di breve termine con prezzi ragionevolmente bassi, ma stabili, di medio-lungo termine. E su tale base pianificare nuovi investimenti, sia greenfield che per repowering e retrofitting di impianti esistenti. In altre parole, ciò di cui abbiamo disperatamente bisogno per accelerare la transizione energetica.
Il GSE dovrebbe lanciare subito un programma di aste al ribasso in cui si impegna a medio e lungo termine (diciamo dieci, venti e trent'anni) ad acquistare energia verde a prezzo fisso, indipendentemente dal fatto che venga da impianti esistenti (nei primi mesi e anni di contratto) o di nuova costruzione (nella coda dei contratti), direttamente dai produttori o da trader che aggregano offerta. A differenza delle aste per i nuovi impianti da fonte rinnovabile, dovrebbe trattarsi almeno in parte di contratti con profilo di consegna vincolante (in cui produttori e trader si impegnano a fornire energia al sistema in volumi prefissati indipendentemente dalla produzione del portafoglio di impianti sottostante), obbligandoli nel breve termine a operare sul mercato per allineare il profilo di consegna a quello di produzione, e nel medio termine a pianificare in modo equilibrato il mix di fonti rinnovabili (e sistemi di accumulo) al servizio dei contratti. Il GSE cederebbe sul mercato l'energia ritirata, e l'ampio differenziale corrente fra le quotazioni spot e quelle emerse sui contratti di lungo termine sarebbe destinato a interventi di mitigazione delle bollette.
Quanta energia si sposterebbe immediatamente dal mercato spot ai contratti a lungo termine? E a che prezzo? Con quale beneficio potenziale per le bollette? Facciamolo dire al mercato: aste ben disegnate farebbero emergere curve di offerta di energia verde a lungo termine, e starebbe al decisore politico scegliere dove posizionarsi nell'equazione prezzo-quantità. E sarebbe il mercato a rivelare quanta energia è libera da contratti a prezzo fisso, e quindi effettivamente beneficiaria di extraprofitti di breve termine.
I contratti pluriennali dovrebbero avere caratteristiche di standardizzazione tali da prestarsi ad essere scambiati sul mercato secondario. Questo porterebbe almeno due benefici. In primo luogo, consentirebbe ai produttori di allineare la durata del portafoglio contrattuale alla vita utile degli impianti esistenti e dei nuovi progetti. Ma soprattutto, si creerebbero riferimenti di prezzo di lungo termine per l'energia verde, favorendo il proliferare di contratti simili fra soggetti privati, vale a dire corporate Ppa fisici di cui oggi si vedono solo fragili germogli. In altre parole, un sistema di prezzi alternativo a quello legato alla molecola marginale di gas naturale.
Si dirà: per strutturare tutto questo ci vuole tempo. Risposta: poche settimane, se la serietà è pari all'emergenza. Ci sono vincoli comunitari? Forse, ma non possiamo aspettare altri dieci anni a testarli.
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* Giuseppe Artizzu è direttore generale di NHoA, gruppo attivo in tutto il mondo nel settore dei sistemi di accumulo (v. Staffetta 09/11/21). Qui interviene a titolo personale.