Lascia abbastanza sconcertati la dichiarazione del direttore dell'Aie Fatih Birol, che ieri ha addossato alla Russia tutta la responsabilità del rally dei prezzi che minaccia le nostre economie (v. Staffetta 12/01). Non perché priva di fondamento: che la Russia stia giocando a tenere l'energia europea per la gola (riuscendoci) diventa ogni giorno più chiaro. Il fatto strano è che ad attribuire la colpa della situazione a un fattore esterno, in ultima analisi fuori dal nostro controllo, sia l'organismo che per mandato avrebbe il compito (e tutte le risorse) per veder arrivare prima degli altri tempeste come quella attuale e suggerire contromisure, per quanto parziali. E che invece non ci ha nemmeno provato.
La decisione russa di non vendere volumi aggiuntivi su base spot, la promessa di nuovi volumi, ripetuta e sempre disattesa, le allusioni continue all'avvio del Nord Stream 2: bisognerebbe essere ingenui per non intravedere in tutto questo la volontà di Mosca di fare pesare il suo ruolo e mandare un messaggio all'Occidente, con cui ha molti fronti aperti: Nord Stream, l'Ucraina, la transizione energetica. Del resto non è certo la prima volta (v. Staffetta 17/04/12).
Se però su questi aspetti - come inascoltato ripete da tempo Alberto Clô - si può e si dovrebbe agire in sede diplomatica, visto che un aumento delle forniture russe sarebbe nell'immediato davvero decisivo per far rientrare i prezzi, resta che si tratta di un fattore su cui in ultima analisi non abbiamo leve, come ha ricordato Draghi. Né l'UE, né l'Aie possono obbligare la Russia a fare alcunché.
All'Aie come a Bruxelles sanno benissimo che dipendere dall'esterno per una quota tanto importante della nostra energia ci rende fragili. Proprio per questo però una priorità dovrebbe essere studiare e perseguire tutti le contromisure in nostro potere per mitigare gli effetti di una simile posizione. Due esempi.
Tra le cause della corsa dei prezzi del gas, c'è la ripresa della domanda post lockdown, la ridotta offerta di gas russo e di Gnl, l'eolico debole, gli uragani Usa e la siccità in Brasile, ma c'è anche e soprattutto l'insufficiente riempimento degli stoccaggi europei. Un fattore - lo si è già detto, ma sembra il segreto di Pulcinella tanto non viene mai menzionato (v. Staffetta 07/10/21) - che però non era un destino, e ha anzi una decisiva dimensione commerciale.
E' dall'inverno di un anno fa infatti che la dinamica crescente dei prezzi ha innescato un ricorso straordinario da parte delle imprese del gas agli stoccaggi, per una convenienza di prezzo rispetto alle più care importazioni, considerato che le immissioni nelle scorte erano avvenute nell'estate 2020 quando i prezzi erano ai minimi storici (v. Staffetta 11/12/20). Per la stessa ragione nell'estate 2021, quando i prezzi hanno continuato a salire molto, gli operatori che hanno potuto hanno evitato il più possibile di ricostituire le scorte (v. Staffetta 02/07/21).
Diciamo “che hanno potuto” perché questo è stato il caso di alcuni Paesi, come Olanda e Germania, dove gli stoccaggi non sono affatto tutti di Gazprom, come sembra dire Birol, ma lo stesso gli operatori del gas non li hanno riempiti per il semplice motivo che non gli conveniva. E nessuno li obbligava a farlo. La cosa aveva destato anche un certo allarme tra gli esperti in Olanda (v. Staffetta 17/12/21). Non però all'Aie.
Non ovunque è andata così. C'è anche chi, pur volendo, non ha potuto evitare di riempire gli stoccaggi: anche in Italia ad esempio si è vista una forte ritrosia degli operatori a comprare gas da iniettare nelle scorte, ma il meccanismo di aste per la capacità disciplinato da Mite e Arera in questi anni di fatto li ha obbligati a raggiungere un livello minimo, e solo grazie a questo il nostro paese ha avviato l'inverno con le scorte piene all'85%.
Sarebbe bastato questo - misura immediatamente efficace e assai meno complessa delle scorte comuni proposte in UE, notava in tempi recenti Massimo Ricci di Arera - per mitigare molto lo shock attuale. Ieri Birol ha riconosciuto che in effetti "servono livelli minimi di stoccaggio per tutti gli operatori commerciali" (magari imparando dall'Italia?). Dov'era però Birol nei mesi passati quando un'attenzione su questo punto poteva fare la differenza?
Secondo esempio. Il meccanismo di mercato attuale, così come in molti casi non è in grado di assicurare una funzione di stabilità essenziale come il riempimento delle scorte, allo stesso modo non incentiva forme di approvvigionamento a medio lungo-termine, che sarebbero in grado di contenere la volatilità.
Questo è il risultato di scelte di policy precise, da un lato quella di favorire gli scambi di breve termine lungo tutta la filiera (dall'ingrosso fino al retail), dall'altro quella di prospettare un percorso di uscita rapido dalle fonti fossili.
Due segnali, questi, che disincentivano gli operatori europei dal prendere impegni di acquisto di lungo periodo. Per molti anni questa linea ha pagato, in termini di prezzi bassi per i consumatori. Con lo shock del 2021 però se ne sono rivelate tutte le fragilità e il sistema spot-centrico è diventato un forte amplificatore della crisi. E' possibile correggere il disegno del sistema, attenuandone le componenti più "isteriche" - ovviamente ad un prezzo?
E' un'altra domanda che prioritariamente dovrebbero porsi soggetti come Aie e Commissione UE, che porta con sé quella, anch'essa sempre ignorata, sui tempi effettivi dell'uscita dalle fonti fossili che, come sottolineato oggi anche dall'a.d. di Enel Starace, certamente ci allontanerà anche dalla loro volatilità di prezzo. Il punto però non è domandarsi per quanto tempo ancora avremo bisogno del gas, ma più banalmente riconoscere che al momento ne abbiamo bisogno e comportarsi di conseguenza. Perché far finta che non sia così ci sta costando caro.