Se non fosse una cattiva notizia, sarebbe da prima pagina: l'idrogeno verde è quasi competitivo col gas naturale. La differenza di costo dei green gas, principale ostacolo alla loro sostituzione ai fossili, da settimane è virtualmente azzerata. C'è però poco da festeggiare: la causa non è una raggiunta maturità commerciale dell'idrogeno, bensì un rally dei prezzi del metano che in realtà non può ancora tradursi in un passaggio massivo a fonti pulite, indisponibili in quantità adeguate. Diventando così per ora solo un fardello potenzialmente fatale per famiglie e imprese.
Il Paese non sembra realizzare ancora appieno la pericolosità della cosa, ma si tratta di fatto di un ordigno innescato sotto le nostre economie. I prezzi del gas e dell'energia elettrica sono ormai da molte settimane su livelli mai visti, 80-90 euro a MWh per il gas (14 euro a novembre 2020), 290 euro per MWh per l'energia elettrica (48 un anno fa), una CO2 a 73 euro per tonnellata (26 un anno fa). Si tratta di valori che nessun operatore può aver messo in conto nei suoi piani per quest'anno. Ma soprattutto sono valori insostenibili se non per un breve periodo di tempo, senza avere conseguenze distruttive sul tessuto economico.
La questione richiede attenzione e una riflessione a più livelli, che non è chiaro se sia pienamente in corso.
Un primo livello è quello delle conseguenze immediate: oltre al fatto che potremmo aver già varcato la soglia del "breve periodo di tempo" in cui questi prezzi sono sopportabili, cruciali saranno le settimane invernali. L'opinione condivisa tra gli esperti è che se le temperature saranno clementi si eviteranno i rischi peggiori, ma nell'attuale fase di tensione un meteo più rigido innescherebbe nuove escalation dalle conseguenze imprevedibili e potenzialmente molto gravi.
Da ottobre l'Italia ha registrato già più di un segnale, dalla fermata dell'impianto di Ferrara della norvegese Yara, unico produttore nazionale di urea e additivo AdBlue per ridurre le emissioni dei Tir (v. Staffetta 22/10), a quella della produzione di zinco annunciata entro dicembre dalla Glencore a Portovesme (v. Staffetta 22/11), in entrambi casi per l'eccessivo aumento del gas.
La questione non riguarda solo la grande industria, che attraverso le sue associazioni di Confindustria lancia allarmi ormai quotidiani, chiedendo soluzioni emergenziali di non facile percorribilità. Ci sono anche le Pmi, gli artigiani, i bar e i ristoranti, neppure protetti dai decreti tagliabollette, alcuni che riceveranno il colpo peggiore solo dopo gennaio, con la scadenza dei vecchi contratti oggi ancora vigenti; altri che già fanno i conti con aumenti a tripla cifra che li lasciano increduli e rischiano di far saltare i loro piani economici.
Senza naturalmente dimenticare le famiglie, milioni di utenze che nel primo trimestre 2022 dovranno fare i conti con costi del gas per riscaldamento e bollette elettrica superiori di un 50% o anche più, rispetto a un anno prima. "Quest'anno 'povertà energetica' è un'espressione che si sentirà pronunciare", commenta Massimo Nicolazzi con la Staffetta.
Si è già detto infine dell'impatto di questa situazione anche sui fornitori di energia, molti dei quali sulla linea di sopravvivenza (v. Staffetta 15/10) e qualcuno già costretto a uscire dal gioco (v. da ultimo Staffetta 25/11).
Un secondo livello riguarda il medio termine: due altre convinzioni diffuse sono infatti che i prezzi torneranno a scendere, ma non lo faranno rapidamente quanto sono saliti e, anzi, che si debba accettare che l'era dei prezzi bassi degli ultimi anni sia finita per sempre. Anche per via degli obiettivi di transizione energetica - questione delicata questa, che si presta a polemiche ed equivoci ma che, altrettanto evidentemente, non si può far finta che non esista.
Che la ragione degli attuali rally sia contingente e legata in primo luogo alle conseguenze di un evento straordinario come la pandemia, non toglie che l'incremento dei prezzi delle fonti tradizionali sia un obiettivo espressamente perseguito dalle politiche di transizione. Ne consegue che i Paesi dovranno essere in grado di gestirne gli impatti meglio di quanto abbiano fatto in questo traumatico 2021.
Anche di questo c'è adeguata consapevolezza? Di certo la risposta non può essere trincerarsi dietro l'affermazione che i meccanismi di mercato stanno funzionando come devono, rispecchiando le tensioni e creando le condizioni perché si sciolgano da sole, purché si abbia la pazienza di aspettare. Non se nel frattempo i danni superano una certa soglia, rischiando di diventare sistemici e trasformarsi in recessione.
Come pure non basta dire che i prezzi alti incentiveranno il passaggio a tecnologie pulite non esposte alle fluttuazioni degli idrocarburi, da ultimo risolvendo il problema, almeno non senza sincerarsi prima del tempo che ci vorrà.
Secondo i valori presi a riferimento dalla DG Energy per il nuovo pacchetto green gas (v. figura a fianco), infatti, in teoria già oggi l'idrogeno da rinnovabili avrebbe un costo di produzione quasi uguale all'attuale prezzo del gas al Ttf. Questo però non ha alcuna importanza perché se anche una cartiera o una fonderia volessero (e potessero) investire per convertire la produzione a idrogeno, per molti anni non saprebbero letteralmente dove trovare il combustibile, la cui filiera per stessa ammissione della Commissione non decollerà prima degli anni 2040. Nel frattempo cosa faranno?
La risposta da dare a questi dilemmi non è semplice né scontata, di sicuro non può essere una formula valida sempre. Intervenendo martedì alla conferenza di Amici della Terra, il presidente di Arera Stefano Besseghini ha detto che uno dei compiti più difficili nel cammino della transizione sarà capire quando sia possibile forzare un cambiamento e quando invece si debba attutirne i colpi. Una valutazione che va fatta caso per caso, evitando di andare contro un muro per puro amore della coerenza.