L'ultimo numero della rivista Energia (v. Staffetta 26/03) solleva un tema solitamente quasi intoccabile: la scadenza nel 2030 delle concessioni per la distribuzione elettrica, di cui il Dlgs Bersani del 1999 prevede la messa a gara. Proprio in questi giorni è in Parlamento l'ennesimo tentativo di superare (o solo di darne l'impressione) ostacoli che da anni bloccano quelle per il gas, previste da norme del 2000. In generale, nell'energia le gare hanno avuto spesso scarsa fortuna e prima di tuffarsi in una nuova disputa sarebbe forse il caso di domandarsi il perché di questa debacle.
Tra le numerose ragioni possibili per cui, di fatto, in questi anni le gare sono state più una chimera che una realtà, qui ne vogliamo azzardare una: che il legislatore e i governi, sempre pronti concordare in principio con l'Antitrust sul loro essere la via migliore (o la peggiore, con l'esclusione di tutte le altre), non hanno però mai mostrato di prenderle abbastanza sul serio da preoccuparsi che funzionino davvero. Ad esempio gestendo in anticipo e in modo credibile una serie di (pur prevedibilissime) conseguenze sullo status quo ex ante.
Una disattenzione a conseguenze collaterali – ma decisive – di questi colossali passaggi di consegne tra portatori di interessi è ad esempio tra le maggiori cause della paralisi delle gare gas, per l'insufficiente attenzione prestata ai diritti di Comuni e gestori uscenti; o di quelle idroelettriche, che dieci anni fa il governo di turno ha lanciato avventatamente sul tavolo, rinviando però di chiarire aspetti chiave sui riscatti e sul loro stesso oggetto (e intanto incassando un'infrazione UE).
Lo stesso disinteresse o leggerezza, si potrebbe aggiungere, offrono oggi a Enel l'opportunità di liberarsi per via giudiziaria dalla seccatura delle gare per l'assegnazione dei clienti dell'ex (?) maggior tutela elettrica: potenzialmente sopprimendo lo schema nella culla, perché nessuno di chi lo ha scritto (e di chi lo ha auspicato) ha ritenuto essenziale preoccuparsi di stranded cost e clausole sociali, che ora l'azienda può far valere al Tar, mentre su un altro fronte incassa presumibilmente il sostegno dei sindacati.
Sulla distribuzione, la complessità della partita che si profila è enorme. Proprio questa mattina ce lo ha ricordato da ultima una sentenza del Consiglio di Stato sul caso di Sanremo, dove il concessionario locale per legge (Amaie) ha impiegato più di dieci anni solo per entrare in possesso di una porzione di rete Enel da poche migliaia di utenze. Si può solo immaginare cosa significherà considerare adeguatamente le implicazioni patrimoniali, finanziarie, occupazionali, regolatorie del mettere a gara un'infrastruttura da decine di milioni di punti serviti, per di più per l'80% della sola Enel. Senza contare che la transizione energetica, come visto, induce le grandi utility a legare ancor più il proprio business alle reti di quanto non abbiano fatto finora.
Se si vuole che il meccanismo funzioni, tutte queste dimensioni andranno però affrontate, senza dimenticare le implicazioni concorrenziali e cominciando adesso (dieci anni passano presto per queste cose) o tutto resterà sulla carta. Se invece l'approccio sarà lo stesso visto negli altri casi, per i gestori attuali come Enel, A2A o Acea, funzionerà meglio di una proroga trentennale: possono dormire sonni tranquilli.