L'Italia ha un grosso problema di iter di autorizzazione e, se continuerà con il ritmo tenuto negli ultimi anni, non riuscirà a raggiungere gli ambiziosi obiettivi sulle rinnovabili al 2030. Nel fare questa sacrosanta osservazione – e nel richiamare la necessità di affrontare la questione come problema politico e non cercando scorciatoie – non bisogna tuttavia dimenticare che il nostro è l'unico dei maggiori Paesi europei (e l'unico dei Paesi fondatori) ad aver raggiunto e superato gli obiettivi sulle rinnovabili al 2020 con il 18% e passa sui consumi finali già nel 2019, rispetto a un obiettivo del 17%. Ce lo ha ricordato ieri l'Agenzia europea per l'ambiente, che ha diffuso i numeri relativi al 2019, da cui emerge che 13 Paesi non hanno ancora raggiunto gli obiettivi e che sono piuttosto lontani non solo la Polonia (12% di Fer sui consumi finali rispetto a un obiettivo del 15%), ma anche la nuclearissima Francia (17% rispetto al 23%), la verde Irlanda (12% rispetto al 16%), i Paesi Bassi dei mulini a vento (9% rispetto al 14%), il Belgio (10% rispetto al 13%), la Spagna che ci surclassa sulle aste (18% rispetto al 20%) e infine anche la Germania del phase out del nucleare e del carbone (17% contro 18%). Anche sulle emissioni di CO2, sia in cifra assoluta che pro capite che per unità di Pil, siamo nel gruppo di testa. E la quota di Fer sui consumi di energia in Italia è salita ancora (al 20%) nel 2020, complice il calo dei consumi – con il 40% del totale dell'energia verde garantito dal buon vecchio idroelettrico (v. Staffetta 26/03).
Insomma, se è vero che la crisi Covid ha colpito anche le rinnovabili, con un forte calo della nuova potenza installata (v. Staffetta 30/03), e che la transizione ha bisogno di spinte ulteriori, non bisogna dimenticare lo sforzo fatto – e i costi in bolletta pagati per raggiungere gli obiettivi prima degli altri.