È passato meno di un anno da quando la UE ha messo sul tavolo la sua strategia sull'idrogeno. Innescando un'accelerazione inedita in un settore che per anni è stato al più oggetto di saggi e divenuto di colpo uno dei pilastri del Green Deal e della cosiddetta “ripresa verde”. In quest'anno il dibattito pubblico ha visto emergere alcune polarizzazioni, come verde-blu, centralizzato-distribuito, intorno alle quali si sono fronteggiati pesi massimi dell'energia, a cominciare da Eni e Enel. Oggi quel mondo sembra un po' più lontano, anche se nel contempo altri punti di frizione stanno emergendo.
Che sia l'effetto del cambio di governo o di altre circostanze, sta di fatto che ieri, durante il talk di Rcs sull'idrogeno cui hanno partecipato gli a.d. Descalzi e Starace, sono rimasti molto sullo sfondo alcuni temi che nel 2020 ci facevano parlare delle “due anime” dell'idrogeno italiano, quando non di “derby”. Ad esempio, nessuno ha insistito sulla necessità della Ccs come transizione necessaria verso l'idrogeno verde.
C'è stata anche, tra i due colossi di Stato, un'apparente forte consonanza su cifre e tempi di maturazione delle tecnologie, meno rapidi per gli elettrolizzatori di quanto Enel stimasse fino a poco fa. Nel contempo da parte del Cane a sei zampe si è vista una presa d'atto molto chiara su un altro tema delicato, quello della mobilità: con l'ammissione della palese maggiore efficienza dell'elettrico sull'idrogeno.
Rispetto a sei mesi fa, diverse cose sono cambiate nel contesto. Col nuovo inquilino di palazzo Chigi potrebbero essersi meglio definite o almeno ricomposte le fibrillazioni che ancora a cavallo tra 2020 e 2021 avevano prodotto bracci di ferro e modifiche in corsa del Pnrr. Inoltre, le società hanno anche stretto alleanze e avviato progetti comuni, a cominciare da quelli nella raffinazione.
Insomma è possibile che il quadro dei rispettivi ambiti di azione sia oggi più chiaro e definito, come pure la loro integrazione nelle politiche pubbliche, rendendo tutto l'insieme più fluido e meno competitivo, anche considerato che l'obiettivo ultimo è investire a beneficio del Paese. Una sorta di “divisione del lavoro” tra chi si occuperà di elettrificare l'elettrificabile e chi di decarbonizzare ciò che non si può elettrificare.
Certo questo non significa che tutto sia al suo posto. È ancora palpabile ad esempio la preoccupazione del mondo del gas naturale che, tra tassonomia della finanza sostenibile e pacchetto legislativo sui gas verdi, vede all'orizzonte cambiamenti più radicali di quanto consideri accettabile, e fatica veicolare le proprie proposte su blending e transizione graduale per le reti del metano. Un punto reso con particolare crudezza dal vice presidente UE per il Green Deal, Frans Timmermans, all'assemblea annuale di Eurogas.
Inoltre monta sempre più il nodo della governance e del ruolo dei gestori di rete, su cui ad esempio l'a.d. di Snam Alverà indicava ieri apertamente la normativa sull'unbundling come un limite da superare, possibilità vista invece come il fumo negli occhi dagli operatori “di mercato”.
Tutti nodi che verranno presto al pettine. La prossima settimana dovrebbero chiudersi i lavori parlamentari sul Piano di ripresa. La commissione Bilancio della Camera ha messo a punto uno schema di parere di 68 pagine in cui c'è tutto e di più (v. Staffetta 26/03). La parola “idrogeno” ricorre 27 volte, con spunti su un po' tutti i settori, dai trasporti agli accumuli, dalla siderurgia alla rete carburanti, dalle opportunità per l'industria e le tecnologie nazionali alle attività di ricerca e sviluppo. Oltre al Pnrr, ci sarà da definire la Strategia sull'idrogeno, da rivedere il Pniec, da lavorare sugli Ipcei, sul pacchetto gas verdi, sulla revisione della Dafi e su tutte le politiche nazionali e comunitarie che vanno oltre l'orizzonte relativamente ristretto del Piano di ripresa. Tenendo a mente che, anche allungando la prospettiva, le scelte non si potranno eludere.