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Politica energetica internazionale
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Dal capacity ai prezzi, una lezione dal Texas

"Politicizzare qualcosa di vitale come l'elettricità non ha mai avuto senso. Il Texas ha appena impartito una lezione sul perché bisogna smettere". Enunciato in chiusura di un commento sul Financial Times di oggi, questo è certamente uno dei primi insegnamenti che la crisi del sistema energetico texano della scorsa settimana può dare a tutte le latitudini, con l'energia che troppo spesso è pretesto di scontri di fazioni. Probabilmente però non è il solo, se ci si sofferma su alcuni aspetti che quel contesto, pur assai diverso, ha in comune col nostro, italiano e europeo.

Sui 29 milioni di abitanti del Texas, colpito da un'ondata di gelo e maltempo che ha fatto almeno due dozzine di vittime e ha indotto il presidente Usa Joe Biden a dichiarare lo stato d'emergenza, 4,5 milioni sono rimasti a lungo senza energia, 14 mln con problemi di approvvigionamento idrico, si sono fermate raffinerie, costrette a inquinanti manovre d'emergenza, e alcuni clienti finali stanno ricevendo bollette da migliaia di dollari per pochi giorni di fornitura. Ciò è avvenuto per un peculiare e drammatico assommarsi di fattori, primo fra tutti l'impreparazione degli impianti di generazione e delle infrastrutture a condizioni di freddo estremo, che pure si erano già verificate, ma anche l'isolamento della rete da quella degli stati vicini e l'assottigliarsi negli ultimi anni dei margini di riserva a livelli preoccupanti.

Più nel dettaglio, il gelo ha mandato in tilt 30 GW di capacità convenzionale, che non era stata attrezzata per sopportare gli inverni rigidi nonostante l'avvertimento dell'analoga ondata di gelo del 2011. In Texas, nonostante l'eolico copra ormai più di un quinto della domanda elettrica, oltre due terzi sono soddisfatti col termoelettrico, in buona parte a gas – colpito anche dal congelamento dei gasdotti proprio nello Stato-simbolo dello shale – e dal nucleare. A ciò si è aggiunto un margine di riserva gravemente insufficiente: soli 1.350 MW in condizioni estreme, secondo il gestore di rete Ercot, che in questa stima aveva però ipotizzato il venir meno di non più di 23,5 GW di capacità termica, contro i 30 effettivi. Non meno importante, infine, il contributo alla crisi dell'isolamento (deliberato) della rete texana da quelle vicine, che ha impedito di supplire con l'import.

Di fatto, come spiegato dallo stesso Tso, il sistema è stato a un passo (“questione di minuti, di secondi”, ha detto Ercot) da un blackout incontrollato nell'intero Stato: di quelli che possono richiedere giorni o addirittura settimane per ripristinare le forniture. Un evento da terzo mondo nel cuore della prima economia mondiale, sventato solo con una serie di indicazioni date in extremis dal gestore di rete agli operatori locali di ridurre il carico quanto più possibile. Ordini di distacco delle forniture impartiti troppo tardi, secondo alcuni operatori del mercato, considerato che il “corto” di capacità che lunedì 15 ha determinato un pauroso calo della frequenza e la conseguente crisi, era stato previsto già nei giorni precedenti.

A fianco dei distacchi massivi, il sistema ha infine reagito anche con un balzo dei prezzi all'ingrosso dell'energia, rimasti sul tetto massimo di 9.000 dollari per MWh per cinque giorni. E considerata la diffusione nelle forniture al mercato finale di formule di prezzo indicizzate al mercato spot, ciò sta comportando l'emissione di bollette monstre, anche 5.000 dollari per soli cinque giorni di fornitura. Il governatore texano Abbott ne sta chiedendo la sospensione, dopo aver già ordinato nei giorni scorsi il blocco delle esportazioni di gas – in un caso e nell'altro con risultati tutti da verificare.

Insomma una specie di tempesta perfetta con caratteristiche peculiari, ma che ugualmente può fornire qualche spunto di riflessione per l'Europa e l'Italia.

Una lunga ricostruzione degli eventi pubblicata ieri dall'agenzia Reuters punta ad esempio il dito su due fattori essenziali: primo, il già menzionato isolazionismo elettrico del Texas; secondo, il suo modello di mercato rigidamente energy only, diversamente da diversi altri stati Usa comparabili che invece hanno introdotto un mercato della capacità, in grado di remunerare la disponibilità degli impianti anche se inattivi. In pratica il sistema locale affida esclusivamente al segnale di prezzo spot lo stimolo agli investimenti in nuova capacità per fronteggiare le condizioni di picco, ma in questi anni un simile approccio, insieme allo spostarsi di una quota importante di investimenti sulle rinnovabili non programmabili, si è tradotto in un calo del margine di sicurezza.

Questo sì, ci può ricordare qualcosa: in questi anni, anche in Italia e in altri Paesi UE i margini di riserva si sono ridotti in mancanza di segnali adeguati agli investimenti, mentre il crescere delle Fer non programmabili ha reso le reti più difficili da gestire. Certo, diversamente dal Texas, noi abbiamo l'import, ma giusto nei giorni scorsi Terna ha evidenziato in Parlamento che la nostra sicurezza ne è ormai divenuta dipendente, e quando l'offerta nucleare francese va in tensione e, insieme, cala il vento in Germania, finiamo per trovarci esposti. Una circostanza che merita una riflessione, tanto più in giorni di nuove polemiche sul capacity market. Riflessione, peraltro, in cui includere anche l'idea che i prezzi debbano crescere a piacere riflettendo la scarsità, tesi ovviamente rispettabile purché se ne accettino fino in fondo le conseguenze.

Problemi complessi, come si vede, che fanno a pugni con qualunque “politicizzazione” dell'energia e sua riduzione a scontro tra fazioni, come purtroppo se ne vedono troppo spesso nel dibattito - il Financial Times saluta quasi come una vittoria della realtà il silenzio in questo frangente del senatore repubblicano del Texas Ted Cruz, solito attaccare la democratica California per i limiti del suo sistema elettrico orientato alle rinnovabili - che sia sulle presunte responsabilità dell'eolico o di altre tecnologie.



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