Quando si crea un sistema folle, anche se ha garantito una certa funzionalità per qualche decennio, ci si deve aspettare che il tutto possa impazzire.
Che il prezzo del petrolio non esista più in quanto tale, lo sappiamo dal dicembre 1988, quando, alla fine di una storica e drammatica Conferenza, i paesi OPEC decisero:
1. di non “pubblicare” più il valore del Benchmark (il greggio Arabian Light), ma di usare il “Brent” come riferimento per calcolare il prezzo dei greggi da loro prodotti;
2. di non svolgere più il ruolo di “swing producer” per garantire la stabilità del prezzo del petrolio, a meno di un accordo generale che coinvolgesse “tutti” i produttori del mondo.
Ancora oggi, non si è compreso a pieno la gravità di quella decisione che, nata come strumento di guerra contro i produttori del Mare del Nord, avrebbe dovuto trasformare il mercato petrolifero da oligopolio a mercato libero ed indipendente dai grandi produttori del Golfo. Fiumi di inchiostro sono stati sprecati dietro questa retorica “politica” del thatcherismo anni '80.
Non dimentichiamo un dato elementare che ha sempre caratterizzato il mercato del petrolio greggio (quello fisico di colore scuro che sporca le mani): l'offerta potenziale è sempre stata, da oltre mezzo secolo, superiore alla domanda reale di questa materia prima.
Con la decisione dell'OPEC, si è detto addio a quella stabilità dei prezzi che era stata garantita fino ad allora dal ruolo di “swing producer” svolto dai paesi del Golfo ed in particolare dall'Arabia Saudita.
In questo contesto, a meno che non ci sia un sistema di regolazione dell'offerta da parte dei paesi produttori, il prezzo del petrolio, per la legge di base dell'economia, tende a scendere al livello del costo di produzione dei campi marginali.
Puntualmente, già un mese dopo, a gennaio 1989, il prezzo del Brent (il nuovo Benchmark) scese a 9 $/barile, ovvero al livello del costo di produzione dei campi offshore del Mare del Nord e di altre produzioni il cui costo era superiore a 10 $/barile, ripristinando un equilibrio fra offerta e domanda di petrolio greggio.
Avrebbe dovuto essere la seconda “guerra dei prezzi” dopo quella del 1986 lanciata dal ministro saudita Yamani, per “obbligare” i paesi non OPEC, ed in particolare i produttori del Mare del Nord, a sedersi intorno al tavolo e negoziare i nuovi equilibri del mercato petrolifero.
La sequenza degli eventi successivi alla fine della guerra Iran-Iraq (estate 1988), il conflitto fra Iraq e Kuwait, l'invasione militare del Kuwait da parte dell'Iraq, la distruzione dei pozzi del Kuwait ed infine la prima guerra del Golfo, ha impedito che il prezzo restasse a lungo al di sotto dei 10 $/barile. Kuwait ed Iraq hanno svolto il ruolo involontario di “swing producer”. Mentre l'OPEC restava paralizzato ed incapace di intervenire sulla situazione drammatica determinatasi dopo la Conferenza del dicembre 1988, le decisioni di Saddam Hussein ed i conflitti militari hanno fatto sparire dal mercato circa 3 milioni di barili/giorno.
Grazie a questi tagli “involontari”, il prezzo del nuovo Benchmark Brent si assestò intorno a 16 $/barile.
Questo capitolo della storia del mercato petrolifero non è stato mai più ridiscusso e nemmeno analizzato con serietà critica. Di sicuro, da allora l'OPEC ha svolto solo un ruolo di pubbliche relazioni, ben guardandosi dall'assumere nuovamente il ruolo di “swing producer”. A conti fatti, sulla base dei numeri consuntivi, possiamo affermare con certezza che tutti i paesi produttori, senza alcuna eccezione hanno prodotto esattamente quello che il mercato richiedeva, né un barile in più, né uno in meno. Nessun raffinatore è rimasto senza rifornimento o è stato forzato a comprare più greggio di quanto avesse bisogno.
Il resto è solo retorica funzionale alla speculazione dei mercati finanziari del Brent e del WTI.
La mancanza strutturale di uno “swing producer” a sostegno del nuovo Benchmark ha determinato una costante volatilità del prezzo, mai conosciuta fino ad allora, che è stata l'ossigeno della speculazione del trading finanziario internazionale.
Fa un po' tenerezza l'opinione di molti analisti di stampo anglosassone, che hanno delineato e difeso un modello nel quale gli operatori del Mare del Nord e quelli americani possano muoversi in un sistema di libero mercato, con il sostegno (solo ipotizzato ma mai concordato) dei paesi OPEC che avrebbero dovuto continuare a fluttuare la produzione in funzione delle esigenze dei mercati. Questo modello non è stato mai implementato. Ed abbiamo visto i prezzi oscillare da 9 a 150 e poi crollare a 37. Ed i valori impossibili di questi giorni.
E per la prima volta stiamo vedendo valori generati da algoritmi impazziti, che nulla hanno a che fare con l'economia del petrolio ed i valori di “break even” dei campi petroliferi.
Qui si apre il grande equivoco sul merito della decisione dell'OPEC.
A Vienna i paesi OPEC decisero di usare come Benchmark, al posto dell'Arabian Light, il greggio fisico Brent, prodotto nell'offshore UK del Mare del Nord, ed il cui prezzo era riflesso nel valore del cosiddetto “Brent Dated”, pubblicato da alcune agenzie giornalistiche specializzate (Platt's, Argus, ecc.), sulla base delle loro “stime” dei prezzi, ai quali i carichi fisici di Brent, di cui fosse nota la data di caricazione al terminale, erano stati venduti o comprati.
Tutti sanno che le transazioni petrolifere fra due parti sono, nella quasi totalità, P&C (private and confidential). Nessun trader vuol far sapere al suo acquirente il prezzo a cui lui ha comprato il carico che sta rivendendo. Il che vuol dire che il sistema del Brent Dated è privo dei minimi requisiti di trasparenza.
Ciò fa sì che le stime delle agenzie specializzate risultarono da subito abbastanza approssimate e spesso criticate per le possibili manipolazioni a favore dei grandi produttori del Brent. Processi giudiziari ed azioni arbitrali testimoniano la rilevanza della critica. D'altronde, se il prezzo di un greggio viene usato come Benchmark mondiale, è evidente che la sua trasparenza diventa un elemento cruciale.
Il ripetersi di questi episodi ed il costante calo della produzione del Brent, ha convinto alcuni paesi storici, come l'Arabia Saudita e l'Iran, ad un certo punto, ad abbandonare il “Brent Dated” come Benchmark e di usare, come riferimento per il calcolo del prezzo dei loro greggi, il Brent ICE (ex-IPE), ovvero il valore di chiusura giornaliero del Brent paper del mercato finanziario.
Si tratta di un secondo step verso la situazione di follia nella quale oggi ci troviamo.
La continua diminuzione della produzione del Brent, verificatasi a partire dalla fine degli ani '90, ha posto un problema serio al mantenimento del “Brent Dated” come Benchmark mondiale del mercato petrolifero mondiale. Si stava passando dalla disponibilità di oltre 50 carichi di Brent fisico al mese a poco meno di 10 carichi al mese. Era diventato frequente l'accaparramento di diversi carichi da parte di società di trading (ed a volte anche di qualche operatore maggiore) per fare sparire il greggio dal mercato del Mare del Nord per poi spingerne il prezzo alle stelle (“Squeezing del Brent”). Essendo il Brent il Benchmark mondiale, si creava un rialzo artificiale del prezzo di tutti i greggi commercializzati in quei giorni.
Si sarebbe dovuto girare pagina e trovare un nuovo sistema per fissare il prezzo del petrolio. Gli interessi legati al sistema del Brent erano ormai giganteschi a livello planetario La grande finanza muoveva circa 2 trilioni di $/giorno, spesso a partire dai paradisi fiscali. Non c'era (e non c'è) al mondo un'autorità in grado di mettere ordine in questo sistema di potere.
Il sistema del Brent doveva essere salvaguardato a tutti i costi.
Si è allora creato un “Brent Dated” artificiale, fatto da un paniere di quasi tutti i greggi prodotti nel Mare del Nord. Il valore più basso fra i singoli greggi del paniere, registrato sul mercato ogni giorno (sempre sulla base delle stime delle agenzie specializzate), veniva (e viene) assunto come il valore del Benchmark.
Ovviamente, la trasparenza del sistema è andata a peggiorare ulteriormente. Le transazioni fisiche continuano ad essere P&C.
Si è allora deciso di far discendere il prezzo del Brent Dated dal mercato finanziario attraverso alcuni determinati algoritmi di calcolo. La stima del prezzo da parte dei giornalisti delle varie agenzie sulla base delle transazioni sui mercati fisici diventava soltanto un assunto teorico di principio, ma di fatto irrilevante nella pratica quotidiana.
Sui mercati finanziari vengono trattati diversi tipi di contratti cartacei, alcuni relativi ai barili di carta (che nel sistema del Brent non si trasformano “MAI” in barili fisici) altri relativi a diversi tipi di derivati, in particolare i CFDs (contract for differences).
Ogni giorno su questi mercati vengono scambiati barili (sempre nominali di carta) relativi a successivi 6 mesi e quindi viene determinato il prezzo del greggio (finanziario) dei mesi successivi. Il valore del mese corrente viene determinato attraverso un algoritmo che applica al valore del mese successivo un differenziale, anche questo risultato dallo scambio in borsa dei CFDs.
Questo differenziale, normalmente contenuto entro limiti ragionevoli e fisiologici, risulta in questi giorni totalmente impazzito. La grande manovra speculativa lanciata dalle grandi banche d'affari ha scatenato una massa di piccoli investitori che hanno investito nei CFDs (spesso attraverso i fondi Etf) puntando al crollo del prezzo corrente ed il rialzo dei mesi successivi.
Incredibilmente, questa situazione ha colpito in modo più drammatico il WTI, che, a differenza del Brent ICE, conserva un legame diretto con il mercato fisico. I barili di WTI, comprati sul NYMEX, la borsa petrolifera americana, vengono effettivamente consegnati a Cushing nell'Oklahoma.
Si tratta di una situazione assolutamente anomala, frutto di una “corsa all'oro” che ha coinvolto il cittadino medio americano. Un movimento così massiccio di capitali su elementi di mercato finora considerati marginali nel gioco dei “futures” petroliferi ha fatto saltare il banco. I differenziali hanno assunto valori enormi superando quelli dei barili stessi.
Poiché il prezzo del giorno viene determinato dalla somma algebrica fra il prezzo del barile di riferimento del primo mese disponibile sul mercato a futuri ed il differenziale (CFD) pubblicato, ne è scaturito che, essendo il differenziale, in questo mercato in contango, più alto del prezzo del barile nel giorno preso in considerazione,la differenza calcolata, ovvero il prezzo del giorno, risulta negativa.
È solo il gioco dell'algoritmo impazzito. Non si tratta assolutamente di un valore che riflette in qualsiasi modo un rapporto fra domanda ed offerta di petrolio, né la disponibilità dei produttori di consegnare il proprio greggio a gratis o addirittura pagando i clienti purché lo portino via liberando gli stoccaggi.
In questi casi, i contratti di vendita di greggi fisici, mancando di un valore affidabile di mercato, devono essere rinegoziati o rischiano di perdere ogni validità giuridica.
Ci troviamo di fronte ad una ennesima manifestazione degli elementi di follia su cui è basato il sistema di fissazione del prezzo del petrolio greggio, una delle chiavi di volta fondamentali del sistema economico mondiale e la sorgente principale di liquidità nelle principali borse mondiali.
Fra un po' torneremo ad una apparente normalità, ma ricorderemo che abbiamo affidato al caso ed alla speculazione una delle variabili fondamentali del nostro sistema economico e finaziario?
Ricordando Cicerone potremmo dire: quousque tandem, Brent and WTI, abutere patientiam nostram?