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Politica energetica nazionale

di Luigi De Paoli

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Accise e “sussidi ambientalmente dannosi”

Alzando la fiscalità del gasolio ai livelli della benzina lo Stato incasserebbe tra i 5,3 e i 6,3 mld in più. Ma è giusto chiamare queste somme “sussidi ambientalmente dannosi”?

Politica energetica nazionale

In tempi di grande (e condivisibile) preoccupazione per i cambiamenti climatici e di accresciuta sensibilità ambientale, concedere “sussidi ambientalmente dannosi” (Sad) suscita immediatamente una reazione di rigetto. Già il termine sussidio è visto di solito con sospetto perché equiparato con un aiuto -magari non sempre meritato- che qualcuno deve pagare, ma se poi si sussidia qualcosa che non dà risultati positivi, ma anzi danneggia l'ambiente, allora non ci sono più dubbi: si tratta di una perversione da abolire. Ma, come sempre, una riflessione più pacata sui singoli casi può essere utile.

Il Ministero dell'Ambiente (Mattm) ha pubblicato finora due cataloghi sui sussidi ambientalmente favorevoli e ambientalmente dannosi. Il secondo catalogo stima che nel 2017 in Italia i sussidi favorevoli siano stati 15,2 miliardi di €, quelli dannosi 19,3 miliardi e quelli di incerta classificazione 6,6 miliardi. Fra i dannosi, i sussidi alle fonti fossili predominano nettamente essendo stimati in 16,8 miliardi. A commento di questi dati, sul sito dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana si legge: “Tutti i sussidi alle fonti fossili devono ritenersi economicamente e ambientalmente inefficienti. Senza la loro rimozione diventerà estremamente difficile, se non impossibile, raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati come comunità globale a Parigi e all'Onu”. Ma quali sono i Sad alle fonti fossili?

Il tema della definizione di che cosa siano i Sad occupa molto spazio nelle discussioni tra economisti ed è richiamato anche nel citato catalogo del Mattm che correttamente ricorda che il catalogo italiano “considera una definizione molto ampia di sussidio” e che “in alcuni casi, è stato incluso anche una tipologia di sussidio “implicito”, ovvero quella forma di agevolazione che emerge implicitamente da una determinata differenziazione del livello di tassazione che può favorire l'adozione di tecnologie o combustibili più o meno inquinanti”. Da questa assunzione deriva che, per il catalogo del Mattm, una delle principali voci dei sussidi ambientalmente dannosi alle fonti fossili è la differente accisa tra gasolio e benzina nel settore dei trasporti che, nel 2017 e 2018, equivale a un Sad di 4.910 milioni di euro.

Abbiamo voluto rifare i conti non tanto per controllare il dato, quanto per rendere trasparente le assunzioni e poter commentare alcuni risultati. Come si vede dalla tabella 1, se applicassimo la stessa fiscalità della “benzina auto” a tutto il “gasolio motori” allineando l'accisa sul gasolio a quella della benzina, il gettito aumenterebbe di 6,3 miliardi se l'allineamento venisse fatto per kg di CO2 emessa o di 5,3 miliardi con un allineamento sul contenuto energetico. Ma è giusto chiamare queste somme “sussidi ambientalmente dannosi”?

A nostro parere si può parlare di Sad se il prezzo di un determinato bene o servizio non contiene -o contiene solo in parte- il costo ambientale provocato dal consumo di quel bene. Questo approccio è quello del Fondo Monetario Internazionale e ci sembra il più adeguato. Nel caso della benzina o del gasolio, supposto che l'accisa sia destinata a internalizzare il costo ambientale, bisogna anzitutto definire quale sia il danno ambientale e il suo valore monetario. Se si considera solo il danno provocato dalle emissioni di CO2, allora bisogna confrontare la “carbon tax” implicita nell'accisa con il valore della CO2 espresso dal mercato o valutato attraverso modelli macroeconomici. La “carbon tax” implicita nell'accisa attuale è pari a 313 €/tCO2 per la benzina e a 231 €/t CO2 per il gasolio (vedi tab. 1). Il valore di mercato oggi più rappresentativo della carbon tax è quello del prezzo dei permessi di emissione legati all'ETS che è stato di 15,88 €/tCO2 nel 2018 ed è di 24,79 €/tCO2 nei primi nove mesi del 2019. Per una stima dei danni climatici delle emissioni di CO2 attraverso modelli macroeconomici possiamo fare riferimento al “social cost of carbon” stimato dall'Agenzia americana per l'ambiente (Epa) che è compreso tra 12 e 62 $/t CO2 nel 2020 e sale a 26-95 $/t CO2 nel 2050. Da questi dati si vede che, sia che lo si confronti con un dato di mercato che con un dato frutto di un modello macroeconomico, il valore implicito da carbon tax dell'accisa sul gasolio è oggi largamente superiore al valore del danno ambientale provocato dalle emissioni di CO2. Non si capisce dunque perché, da questo punto di vista, l'automobilista italiano che acquista gasolio stia ricevendo un “sussidio ambientalmente dannoso” solo perché l'accisa è inferiore a quella della benzina. Paradossalmente, anzi, se si uniformasse l'accisa benzina-gasolio sulla base delle emissioni di CO2 per litro o per contenuto energetico per litro, spingendo i consumatori ad acquistare auto a benzina anziché a gasolio, il danno ambientale verrebbe aumentato e non diminuito. Ciò che conta infatti non sono le emissioni per litro, ma le emissioni per chilometro percorso e quelle delle auto a benzina sono superiori (dal 5 al 20-25%) rispetto a quelle di analoghe auto a gasolio.

Ovviamente il danno ambientale derivante dall'uso della benzina o del gasolio non si limita ai cambiamenti climatici provocati dalle emissioni di CO2 e, se l'accisa va intesa come imposta ambientale, allora bisogna tener conto di tutto l'impatto ambientale. Affrontare il tema degli impatti ambientali locali o regionali delle emissioni è molto più difficile soprattutto se non ci si vuole fermare a considerazioni di carattere generale, ma si vuole fornire qualche numero. Esistono infatti molti studi sull'argomento, ma non è certo facile raccapezzarsi e fornire risposte generali e fondate. Alcune ragioni della complessità del tema sono le seguenti: si devono calcolare le emissioni dei diversi inquinanti (NOx, SOx, PM, VOC), ma bisogna sapere a quale veicolo ci si riferisce (per sapere quanto consuma) e a quale percorso ci si riferisce (urbano o extraurbano) senza contare che si possono includere o meno anche le emissioni legate a tutto il ciclo di vita del veicolo e del carburante; supposto di conoscere le emissioni bisogna avere un modello di dispersione per poter calcolare i danni fisici (malattie, danni ai manufatti, ecc) sull'ambiente circostante preliminarmente definito (ogni zona è diversa dall'altra); supposto di conoscere i danni fisici bisogna passare a una quantificazione monetaria degli stessi. Si capisce facilmente che una simile catena richiede di fare ipotesi diverse e semplificatrici che possono portare a risultati diversi. Inoltre la tecnologia evolve: uno studio che paragona auto a benzina e diesel Euro 3 non è certamente più valido se confrontiamo auto Euro 6.

A differenza del costo della CO2, l'internalizzazione nel prezzo della benzina e del gasolio dei danni ambientali locali o regionali delle emissioni presenta perciò problemi di incertezza e di applicazione molto superiori: le auto che circolano in città dovrebbero pagare molto di più i carburanti, le auto più vecchie (ad es. quelle diesel senza Fap) dovrebbero anch'esse pagare di più…E' evidente che l'applicazione del principio generale “chi inquina paga” al mondo reale pone problemi che obbligano a soluzioni molto grossolane.

Volendo fornire un'indicazione numerica senza alcuna pretesa di precisione assoluta, useremo i dati di uno studio fatto da Chernyavs'ka e Gullì (1) alcuni anni fa ma che possono dare un'idea valida ai nostri fini. In tale studio, i costi esterni ambientali locali e regionali delle auto a benzina e a gasolio (comprendenti anche i costi upstream) erano rispettivamente pari a 9,22 e 9,15 millesimi di euro al chilometro, cioè erano praticamente indistinguibili tra di loro (per auto che percorrevano il 55% del tragitto in città e il 45% in autostrada). Tali valori corrispondono a circa 10 centesimi al litro per la benzina e 11 centesimi al litro per il gasolio. Se poi considerassimo le auto vendute oggi, grazie ai progressi fatti dalle auto diesel nella riduzione delle emissioni di particolato che erano quelle che le penalizzavano di più rispetto alle auto a benzina, probabilmente i costi ambientali sono diminuiti e il risultato avvantaggerebbe un po' di più le auto diesel. Non sembra dunque corretto ipotizzare grandi differenze tra i costi ambientali locali tra auto a benzina e auto a gasolio simili (come categoria e generazione) né ritenere che il costo ambientale totale, comprendente i danni locali e quelli climatici, sia superiore al valore delle accise pagate da chi acquista benzina o gasolio in Italia.

In conclusione, se adottiamo la definizione di Sad come “sussidi presenti quando il costo di un prodotto non comprende una componente fiscale pari al suo costo esterno ambientale”, allora il gasolio per autotrazione in Italia non gode di alcun sussidio ambientalmente dannoso perché una stima grossolana del suo costo ambientale totale per le emissioni (valorizzando la CO2 a 50 €/t) si aggira intorno a 25 centesimi al litro mentre l'accisa attuale (su cui poi si applica l'Iva) è di 61,74 c€/l.

Per dare a Cesare quel che è di Cesare si può tuttavia dire che globalmente il costo ambientale delle auto che usano gasolio è simile a quello delle auto a benzina. Da questo punto di vista perciò non si giustificherebbe un'accisa sul gasolio inferiore del 15% rispetto a quella sulla benzina. In entrambi i casi però l'accisa attuale in Italia è largamente superiore alla stima dei danni ambientali (naturalmente trascurando il fatto che ci sono altre esternalità oltre a quelle legate alle emissioni, quali ad esempio quelle da congestione, da rumore…). Pertanto la proposta che è stata ventilata nelle scorse settimane di allineare l'accisa sul gasolio a quella sulla benzina per eliminare un sussidio ambientalmente dannoso andrebbe più onestamente etichettata come proposta di aumento del gettito delle accise sui prodotti petroliferi (oggi di circa 24 miliardi di euro). Naturalmente si può essere o non essere d'accordo sull'utilità di tale prelievo, ma questo ha ben poco a che fare con il voler far sì che i consumatori tengano conto dell'impatto ambientale nei loro acquisti (magari continuando nella demonizzazione dell'acquisto di auto a gasolio ormai di moda).

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NOTE:

(1) Chi fosse interessato può trovare l'articolo “Measuring the environmental benefits of hydrogen transportation fuel cycles under uncertainty about external costs” su Energy Policy, 38(10):5335-5345

(Luigi De Paoli è professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze sociali e politiche dell'Università Bocconi di Milano)



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