Il taglio delle sette "accise anacronistiche” sulla benzina promesso da Matteo Salvini in campagna elettorale costerebbe circa un miliardo e mezzo di euro.
Visto che il tema permane nel dibattito e che se ne inizia a parlare anche al ministero dell'Economia – e ricordato che le accise non hanno componenti né “componenti anacronistiche” – facciamo dunque due conti sulla questione del taglio promesso da ultimo dal sottosegretario Massimo Bitonci. Oggi la proposta sarà all'esame del vertice leghista chiamato a individuare le misure da inserire nella prossima legge di Bilancio.
Il tema, ha detto Bitonci, “sta molto a cuore a Matteo Salvini”: vediamo allora nel dettaglio cosa ha promesso il vice premier. Nel famoso video caricato su youtube alla vigilia delle elezioni, Salvini prometteva di togliere almeno sette “accise anacronistiche” sulla benzina, per un totale di 11,3 centesimi al litro.
Ogni centesimo di accisa sulla benzina vale, a spanne, circa cento milioni di euro l'anno di gettito, mentre ogni centesimo sul diesel vale circa 250 milioni di euro. Il taglio sulla sola benzina costerebbe dunque circa 1,2 miliardi di euro l'anno, cui sarebbero da aggiungere circa 250 milioni di Iva, per un totale di oltre 1,4 miliardi.
Tagliare le accise, insomma, è possibile, ma costa. L'ultima riduzione risale al primo gennaio del 2015, quando il Governo Renzi lasciò scadere l'aumento introdotto un anno prima dal Governo Letta (v. Staffetta 02/01/15), ma in quel caso si trattava di appena 0,24 centesimi al litro sia per la benzina che per il gasolio.
Quanto ai tagli veri e propri, negli ultimi venti anni ce ne sono stati due, a fronte di sedici aumenti. La prima riduzione fu attuata il primo novembre 1999, per un importo di 25 lire al litro fino al 29 febbraio 2000. La seconda volta, dal 20 marzo al primo maggio 2008, arrivò una riduzione di 2 centesimi al litro. In entrambi i casi si trattava di una “sterilizzazione dell'Iva”, e cioè di una riduzione dell'accisa finanziata con il surplus del gettito Iva determinato dall'aumento dei prezzi dei carburanti. E in entrambi i casi c'erano Pierluigi Bersani al ministero dello Sviluppo economico e Vincenzo Visco al ministero delle Finanze, mentre al Tesoro c'era Giuliano Amato nel 1999-2000 e Tommaso Padoa Schioppa nel 2008 (v. Staffetta 07/01/15).
L'ultima riduzione, quella del 2008, fu attuata in condizioni piuttosto diverse rispetto a quelle attuali. Nell'arco del 2007 il petrolio passò da poco più di 50 dollari al barile a quasi 100, per poi continuare la corsa nel 2008 fino al record di oltre 145 dollari, subito prima della grande crisi finanziaria che lo riportò in pochi mesi a 32 dollari. Insomma, si era in un periodo in cui gli introiti dello Stato potevano beneficiare dell'aumento dei prezzi e grazie al conseguente aumento del gettito Iva.
Ma visto che il Governo sembra avere intenzioni serie, segnaliamo che esiste anche una scorciatoia per il taglio, a legislazione vigente. È infatti ancora in vigore la norma che prevede la sterilizzazione dell'Iva in caso di aumento del prezzo del petrolio. Si tratta del comma 291 della Finanziaria 2008 (legge 244/2007), che stabilisce che scatti una riduzione dell'accisa (con decreto del ministero dell'Economia) se il prezzo medio del Brent nel trimestre aumenta di oltre il 2% rispetto al valore indicato nel Def. Nel secondo trimestre 2018 il prezzo medio del greggio è stato pari a quasi 75 dollari al barile (circa 65 euro). Nel Def il Brent è dato a 65 dollari come media del 2018. Una differenza di circa il 15%. Le condizioni per un taglio ci sarebbero, dunque, e basterebbe un decreto del ministero dell'Economia. Che aspettiamo?