E' pesantissimo il sospetto gettato dall'Antitrust sul gruppo Acea con la delibera del 10 gennaio, pubblicata ieri: di condividere con la società di vendita sul mercato libero Acea Energia le informazioni sul numero di clienti dei suoi concorrenti raccolte e conservate della società di distribuzione Areti. Areti è la controllata di Acea concessionaria del servizio di distribuzione – un monopolio naturale – che in quanto tale sarebbe invece obbligata a tenere quelle informazioni strettamente riservate, per non creare asimmetrie informative tra la società di vendita del suo gruppo societario e le sue concorrenti.
L'addebito, al momento allo stato di ipotesi e che andrà verificato nel quadro delle istruttorie avviate lo scorso anno dal Garante, ha fatto sobbalzare buona parte del mondo dell'energia perché tocca un tema che è al contempo un nodo irrisolto e un nervo scoperto per il sistema. Diversamente che nel servizio di trasmissione nazionale, infatti, per la distribuzione le norme italiane e Ue non vietano a uno stesso gruppo societario di operare sia nella vendita che nelle reti locali in media e bassa tensione – pur con l'obbligo di farlo a “compartimenti stagni”. Nel mercato non è mai stato fugato il dubbio che ciò crei un grave squilibrio di forze tra operatori verticalmente integrati e quelli e che operano invece solo nella vendita. Ovviamente a favore dei primi, che si trovano “in casa” anagrafiche clienti e dati di misura inaccessibili agli altri. Un problema che riguarda potenzialmente non solo Acea ma tutte le grandi municipalizzate, da A2a a Hera e Iren e soprattutto Enel, che gestisce circa l'80% della distribuzione nazionale. Tanto che ieri per molti operatori indipendenti la notizia è suonata quasi come una conferma non necessaria delle proprie convinzioni, più che legittime, sia detto, ancorché mai provate.
Però proprio perché il problema è così serio e cruciale, è tanto più sgradevole la sensazione che l'Antitrust abbia formulato l'addebito nei confronti di Acea in modo insolitamente diretto e ruvido, secondo logiche politiche.
La delibera parla di Areti come soggetto che “trasferisce” le informazioni riservate ad Acea Energia, senza neppure il beneficio del condizionale. Il sospetto è che a giocare un ruolo siano anche i veleni della campagna elettorale. Specie da parte di un'authority solitamente più che attenta (perfino troppo) a non esporre più del necessario le imprese oggetto dei suoi procedimenti. Nel 2015-2016, solo per fare un esempio, mentre infuriavano le polemiche sui contatori elettronici Enel, l'Agcm attese quasi un anno (e la definizione delle maggiori questioni aperte) per pubblicare una segnalazione all'Aeegsi che conteneva osservazioni delicate sui rischi di lasciare ai distributori troppo spazio nei servizi avanzati di smart metering.
Oggi invece la collusione tra distribuzione e vendita in Acea, pur nella sostanza presentata per quello che è, ossia un'ipotesi di lavoro (inquietante quanto verosimile), nella forma usata dall'Antitrust sembra quasi già accertata. Forse perché le prove in mano all'authority sono schiaccianti, certo. O forse no. Di certo la delibera arriva nel pieno delle polemiche della campagna elettorale in cui proprio Acea – assai più di altri grandi distributori, da e-distribuzione (Enel) e Unareti (A2a) a Inrete (Hera) – è nel mirino di polemiche sui “poltronifici” dell'amministrazione grillina di Roma. Per fare un esempio, è proprio del 10 gennaio, ossia lo stesso giorno della delibera Agcm, un duro (e non certo inverosimile) articolo dell'Espresso sull'infornata di nomine del M5S nella municipalizzata nell'ultimo anno. La tempistica e i toni scelti dall'Agcm lasciano insomma spazio a qualche sospetto. Ed è un peccato, perché il tema, come già detto, è dei più seri.