Diciassette anni dall'avvio della riforma della distribuzione del gas naturale, in buona parte occupati da un costante lavorio di elaborazione e aggiustamento, e ancora le gare non decollano. Ciò non significa però che il settore sia rimasto fermo. Piuttosto le procedure competitive, svolte solo in minima parte dal 2000 ad oggi, hanno giocato e giocano un peculiare ruolo di stimolo ex ante alla razionalizzazione del comparto, che del resto era tra gli obiettivi del decreto Letta. Ne sono l'ultima prova in questi giorni le operazioni 2i-Gas Natural e Italgas-Enerco. Resta da capire dove porti il percorso.
Nei primi anni post riforma, la prospettiva della contendibilità di affidamenti fino ad allora praticamente senza scadenza, unitamente agli incentivi del Dlgs Letta (che di fatto accordava una proroga ai soggetti che si fondevano) ha portato in pochi anni a una drastica riduzione del numero dei distributori: circa 800 prima del decreto, 700 poco dopo. Un decennio e poche centinaia di gare (allora comunali) dopo erano meno di 250. Nel 2016 scendevano ancora a 226 e il processo continua.
Oggi a spingere non sono più gli incentivi: se le gare sono ancora uno stimolo all'M&A è per altre ragioni. Il forte salto dimensionale imposto dalla riforma degli ambiti ha messo gran parte del mercato davanti alla scelta obbligata di uscirne. Solo operatori grandi hanno infatti la forza – organizzativa e ancor più finanziaria – di partecipare a gare i cui volumi di documentazione si misurano in camion (si racconta che un Comune abbia dovuto fare allargare le porte per far passare i faldoni) e gli oneri, prima di tutto il riscatto delle reti, in centinaia di milioni.
Alla questione dimensionale si aggiungono poi le incertezze legate alla lentezza del processo e all'inevitabile contenzioso, e da ultimo quelle connesse alle prospettive del vettore gas in una fase di transizione energetica.
Sono figlie del nodo dimensionale decisioni come quella della veneta BIM di non partecipare alla gara per Belluno (poi fermata dal Tar), optando fin d'ora per la valorizzazione dei suoi asset col riscatto. O la già citata operazione Enerco, che segna l'uscita dal mercato di un player di media dimensione nei suoi territori di riferimento. Sembrano pochi finora quelli intenzionati a tenere la posizione, come Erogasmet, che per provarci ha cercato l'alleanza col colosso giapponese Osaka gas.
C'è poi anche il secondo problema dietro la decisione di Gas Natural di uscire dall'Italia. Difficile non abbia pesato l'indisponibilità a imbarcarsi in un processo lungo e imprevedibile, con l'incognita tribunali (non solo amministrativi). Basti pensare che su poco più di 170 gare d'Atem, per ben oltre la metà è scaduto invano il termine per la pubblicazione. Solo una ventina sono state pubblicate, di cui un paio forse hanno speranza di conclusione a breve (una è Torino 2 dove Italgas corre da sola). “Ci aspettiamo che nel 2018 ci saranno più gare che nel 2017 - ha detto nei giorni scorsi con più ottimismo l'a.d. di dell'azienda torinese Gallo, quantificando in 10-15 quelle di interesse per Italgas.
Il punto di arrivo di un simile processo pare inevitabilmente una radicale concentrazione del mercato. Da tempo il settore stima tra i 20 e i 40 il numero degli operatori che potrebbero restare in ballo dopo la prima tornata di gara ma la stima potrebbe essere perfino eccessiva. Specie se si considera che, come visto, il processo sta già avvenendo prima, con acquisizioni e rafforzamenti: con l'operazione Enerco Italgas passerà dal 39% a oltre il 60% dei punti serviti di un singolo ambito (Padova 3), effetti analoghi avrà per 2i l'operazione Gas Natural in certi ambiti al Sud, Puglia in testa. Dinamiche in grado di influire a monte sulle gare e su cui è ancora da capire quale sarà la linea dell'Antitrust, che finora ha censurato joint venture locali difensive tra big (come Isontina al Nord Est) ma non vere e proprie acquisizioni.
Venendo infine all'ultima incognita, quella sulle prospettive del gas nella transizione energetica resta invece valida per tutti, incluso chi oggi sceglie di scommettere sulle gare. Come sarà il settore tra un trentennio, che poi è l'orizzonte a cui deve pensare chi oggi intende restare nel settore? Certo è verosimile che nei prossimi quindici o vent'anni non cambi molto, forse giustificando i 727 milioni spesi da 2i per la buonuscita di Gas Natural dal mercato italiano (“noi avevamo fatto un'offerta chiaramente più bassa che tuttavia teneva conto anche di possibili questioni antitrust”, ha commentato Gallo). Ma da lì in poi gli interrogativi non mancano.
Difficile ad esempio pensare che i consumi del gas naturale nella abitazioni possano mantenere i livelli degli ultimi anni: l'efficienza energetica, la concorrenza del vettore elettrico, il cambiamento del clima con inverni sempre più miti paiono tendenze avviate al consolidamento. In questa direzione vanno un coacervo di norme e alcune segnali di mercato (evoluzione della tariffa, frequente assenza del gas nelle case di nuova costruzione). Anche se è vero tuttavia che nelle città e in tanti comuni italiani il gas naturale potrà comunque essere protagonista della transizione sottraendo spazio innanzitutto a biomasse e pellet (e al gasolio). Certamente in un simile contesto è meno facile guardare lontano.