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Vita delle Società - Associazioni

di GCA

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In un libro le carte del giudice Vincenzo Calia su Bascapè

Con torbide congetture sul contesto in cui maturò il delitto

Vita delle Società - Associazioni

“Il caso Mattei, le prove sull'omicidio del presidente dell'Eni” è il titolo del libro, edito alla fine di marzo da Chiarelettere (354 pagine, 18 €), che analizza, con elementi di giudizio inediti, bugie, depistaggi e manipolazioni che hanno caratterizzato l'accertamento della verità sulle cause della morte di Enrico Mattei, il 27 ottobre 1962 a Bascapè. Autori Vincenzo Calia, il magistrato di Pavia (oggi sostituto procuratore generale a Milano) che nel 1994 riaprì le indagini e dieci anni dopo nel marzo del 2003, smontando la tesi dell'incidente, accertò che l'aereo era stato sabotato, senza però riuscire a risalire agli esecutori e ai mandanti, e Sabrina Pisu, una giornalista di Euronews, che ha convinto il magistrato a ripercorrere e a raccontare nella prima parte del libro (da pag. 17 a pag. 202) tutte le fasi dell'indagine e che nella seconda parte (da pag. 203 a pag. 361) si sofferma a indagare sul ruolo avuto dalla stampa nel manipolare o ignorare la verità.

Una iniziativa editoriale che prende spunto dal caso Mattei per aprire un vero e proprio “processo al silenzio” che circonda tanti altri lati oscuri della storia del nostro Paese, dal caso De Mauro al caso Pasolini ma non solo, con il rischio che il libro, anzichè contribuire a cercare la verità, finisca col complicarla. Che sarebbe un brutto servizio alla memoria del fondatore dell'Eni.

Tutto ha inizio per caso nel giugno del 1994 quando Calia, sostituto procuratore a Pavia, riceve dalla procura di Caltanissetta un breve verbale delle dichiarazioni di un “pentito” di mafia, tale Gaetano Iannì, che raccontava di aver saputo che nel 1962 Mattei era stato ucciso da una bomba piazzata sul suo aereo, per un accordo tra Cosa nostra e gli americani. All'epoca era ormai acquisita, rileva Calia, la versione ufficiale che cioè l'aereo era caduto per cause accidentali. E la prima decisione che prende il 20 settembre 1994 è di ripescare nell'archivio il fascicolo delle indagini svolte dal 27 ottobre 1962 al 31 marzo 1964 quando il giudice istruttore di Pavia, su richiesta conforme della procura, dispose l'archiviazione del procedimento perché “il fatto non sussiste”. E la prima cosa che nota è che le indagini erano state a dir poco sommarie e che gli accertamenti dei periti ricalcavano pedissequamente l'inchiesta ministeriale a sua volta lacunosa, densa di contraddizioni e di dubbi irrisolti.

Calia decide perciò di provare a lavorarci e, via via, scopre che i rottami degli aerei furono subito distrutti (pag. 72), che le testimonianze dei pochi testimoni oculari, a cominciare da quella di Mario Ronchi, erano state manipolate e censurate (pag. 75), che la flotta aerea della Snam comprendeva due aerei gemelli Morane Saulnier entrambi in Sicilia il 27 ottobre, circostanza negata dai vertici dell'Eni dell'epoca (pag. 83), che ci fu un vero e proprio sabotaggio della verità con bugie, depistaggi, soppressioni e occultamenti di prove (pag. 114), che la commissione di inchiesta nominata dal ministro della Difesa, all'epoca Giulio Andreotti, era composta da gente inesperta e all'oscuro della relazione finale (pag. 131), che tale relazione era piena di “prove false” incompatibili con un'esplosione in volo e tese ad avvalorare l'ipotesi che il velivolo si fosse disintegrato durante un forte temporale a seguito di un violentissimo urto con il suolo con conseguente incendio (pag. 138), che i documenti e i fascicoli relativi alle indagini erano spariti (pag. 144). Arrivando alla conclusione, confortata dalle testimonianze orali e dalle prove documentali raccolte, e in assenza di evidenze contrarie, che l'aereo era precipitato a seguito di una esplosione limitata, non distruttiva, verificatasi all'interno del velivolo (pag. 147), un sabotaggio vero e proprio (pag. 155).

Un'indagine che è riuscita, scrive Calia, a delineare il contesto all'interno del quale maturò il delitto, ma non ha permesso di individuare gli esecutori materiali né i mandanti. I sospetti e le illazioni, pur intensi e plausibili, aggiunge, non furono adeguati non soltanto a sostenere richieste di rinvio a giudizio, ma anche a giustificare l'iscrizione di singoli nomi sul registro degli indagati o a protrarre ulteriormente le investigazioni (pag. 157). E' rimasta quindi senza risposta la domanda su chi ha ucciso Mattei e perchè.

Con una notazione però molto grave e sconcertante che, cioè, “la programmazione e l'attuazione dell'attentato furono complesse e comportarono – quantomeno a livello di collaborazione e di copertura – il coinvolgimento di uomini inseriti nello stesso ente petrolifero e negli organi di sicurezza dello Stato con responsabilità non di secondo piano” (pag. 199). Perché, spiega Calia, solo la volontà di nascondere un delitto giustifica, infatti, l'insabbiamento delle indagini che all'epoca avrebbero potuto spiegare con facilità e per tempo la cause della caduta dell'aereo, individuandone i colpevoli. Una imponente attività di depistaggio, protrattasi nel tempo, prima per la preparazione e l'esecuzione del delitto e poi per disinformare e depistare, che non può essere ascritta – per la sua stessa complessità, ampiezza e durata – esclusivamente a gruppi criminali, mafiosi ed economici, italiani o stranieri se non con l'appoggio appunto, ribadisce, di persone e strutture profondamente radicate nelle istituzioni e nello stesso Eni. Nessun nome, ma ombre pesanti, in particolare su Eugenio Cefis a cui Calia dedica un apposito capitolo (pag. 166).

Come ombre pesanti getta a sua volta a piene mani Sabrina Pisu nella seconda parte del libro dedicata alla stampa e a quelli che definisce “i suoi burattinai” (pag. 207), con particolare riguardo alle minacce al regista Francesco Rosi per il suo film sul caso Mattei (pag. 280), alla “verità esplosiva” alle radici della scomparsa del giornalista Mauro De Mauro (pag. 292), al discredito seminato a piene mani sulla stessa inchiesta del giudice Calia (pag. 338), alle minacce rivolte alla famiglia di Mattei (pag. 349), alle domande rimaste senza risposta del figlio del giornalista William McHale che morì insieme a Mattei (pag. 357). Secondo Pisu, un lungo e sistematico sabotaggio per evitare che venisse fuori una verità diversa dalla versione ufficiale o anche solo per scongiurare che qualunque tipo di ombra si allungasse sulle cause della morte di Mattei e si facesse luce sui mandanti (pag. 9). Senza che questa seconda parte aggiunga peraltro nulla di veramente nuovo rispetto alla prima, anche sul piano delle fonti consultate e citate.

Un aspetto su cui val la pena fare alcune notazioni. Sul fatto per esempio che le conclusioni raggiunte dal giudice Calia nella sua indagine sono state puntualmente segnalate, oltreché dalla Staffetta fin dal 2005, da Giuseppe Accorinti nella terza edizione dell'agosto 2008 della biografia di Mattei pubblicata per la prima volta nel 2006, “Quando Mattei era l'impresa energetica, io c'ero”, corredate da altri elementi di giudizio fra cui la certezza sull'uccisione di Mattei manifestata dal presidente dell'Urss, Nikita Krushov, in un incontro a Mosca con Italo Pietra accompagnato da Raffaello Uboldi. Di minacce di morte e di sabotaggi al suo aereo aveva parlato lo stesso Mattei in risposta ad una precisa domanda che gli era stata rivolta nel corso della conferenza stampa tenuta il 14 febbraio 1962 (otto mesi prima della morte) all'Associazione romana della Stampa Estera di cui la Staffetta riportò il resoconto testuale il 26 ottobre 1987 (in occasione dei 25 anni della morte). Quando Mattei non ebbe difficoltà ad ammettere di avere ricevuto le minacce di morte poi riferite a Calia da Rino Pachetti, per molti anni guardia del corpo di Mattei (pag. 27) assimilandole alle campagne stampa di certi giornali. Come dire che queste minacce erano di dominio pubblico e che le stesse autorità non potevano ignorarle.

Nel libro si fa spesso riferimento a William McHale, l'inviato di Time che viaggiò e perì con Mattei nell'esplosione dell'aero, e al fatto che il figlio Duncan nel luglio 1999 si fosse rivolto a Calia per informarsi sugli sviluppi dell'inchiesta (pag. 146), come pure al recupero spasmodico della valigetta contenente i documenti che Mattei portava con sé (pag. 128). Per quel che riguarda la borsa di McHale, la Staffetta nel 2009 in un articolo del 9 maggio intitolato “Quelle carte trovate a Bascapè” raccontò che le squadre di soccorso la recuperarono con le carte e i documenti che conteneva, anneriti e bruciacchiati, ma non al punto di non poter essere identificati. Borsa che dopo qualche settimana venne recapitata alla redazione romana di Time. Dentro c'era pure un dossier di una quarantina di pagine dattiloscritte che MacHale aveva ricevuto in visione qualche giorno prima dall'ufficio stampa di Roma della Shell a cui vennero puntualmente restituite senza alcun problema. Oggi si trovano negli archivi della Staffetta. Nessuno si è mai fatto vivo per consultarle. Articolo ripreso nello speciale Mattei 50 anni dopo pubblicato nel luglio 2012 insieme all'articolo del 17 dicembre 1984 sull'incontro di Montecarlo dell'8 dicembre 1959 tra Mattei e Arnold Hofland, uno dei sette amministratori delegati della Shell. Storie vere che non interessano a chi su Mattei e sull'Eni va a caccia solo di intrighi e morbosità.

Vedi anche...

Mattei, 50 anni dopo (1962-2012)



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