Solo tre carichi in Europa occidentale più altri due in Turchia su un totale di oltre cinquanta esportati. E' il bilancio a fine 2016 dell'export di Gnl dagli Stati Uniti, partito a febbraio dopo una lunga attesa e nel segno di grandi aspettative, ma che finora, titolava due giorni fa un'analisi del Platts, ha avuto un impatto tutto sommato trascurabile sul mercato del Vecchio Continente. Il primo terminal di liquefazione Usa, avviato appunto in febbraio a Sabine Pass, che, complice il boom dello shale gas, ha contribuito a fare in alcuni momenti degli Stati Uniti un esportatore netto, ha inviato una nave in Portogallo, una in Spagna – considerate un test dagli operatori, di fatto non seguite da altre - e una in Italia, anche questa nella peculiare cornice del servizio di peak shaving di Olt. “I dati – conclude l'analisi – mostrano insomma che finora l'Europa Meridionale è riuscita ad attrarre un po' di Gnl Usa, anche se in volumi limitati, ma che l'appeal del gas naturale liquefatto statunitense in Europa Nord Occidentale deve ancora emergere, lì dove è più elevata la competizione con il gas norvegese e russo”. Nello stesso anno i fornitori storici via tubo, Russia, Norvegia e Algeria hanno aumentato le proprie forniture sui mercati europei, complice il progressivo adattamento in questi anni dei prezzi dei contratti alle mutate condizioni del mercato. Non è certo il segno di una disfatta, per il Gnl americano: altra capacità americana arriverà, le configurazioni di prezzi e domanda sui vari mercati mondiali, che finora hanno indirizzato i carichi Usa su mercati più vicini del Centro e Sud America, potrebbero cambiare. Di sicuro però sono dati che, confrontati coi toni di aspettativa quasi messianica del Gnl Usa uditi in questi anni e con posizioni di ministeri nazionali – non ultimo il nostro ministro Calenda con l'aggiornamento della Sen – e di Bruxelles che sembrano puntarvi molto, dovrebbero ispirare almeno un po' di sana prudenza. A cominciare dalle valutazioni sullo sviluppo di nuove infrastrutture.