L'accordo gas tra Eni e Gazprom del 23 maggio, almeno stando ai dettagli noti, pare davvero un fatto inedito. Per la Russia l'allineamento “pieno” del contratto al mercato, con l'introduzione di un riferimento allo spot, ottenuto dagli italiani, è senza precedenti, almeno per un cliente di tale rilievo. Una concessione “storica” di Gazprom su un elemento – l'ancoraggio dei prezzi al petrolio – fino a ieri difeso coi denti. Che assai più del recente accordo con la Cina dà la misura dei rapporti di forza in campo.
Fin dai primi effetti della crisi finanziaria sui prezzi del metano, il braccio di ferro sull'oil link è emerso tra i principali motivi di frizione tra Gazprom e i suoi clienti Ue. La cronaca degli ultimi cinque anni è costellata di botta-e-risposta in cui la posizione dei russi è sempre rimasta immutata: si può discutere di sconti e adeguamenti retroattivi, ma il principio dell'ancoraggio al petrolio non è negoziabile.
Nel 2010 l'a.d. di Gazprom Miller includeva quello del prezzo spot tra i “falsi miti” del settore (v. Staffetta 10/06/10). Il suo vice Medvedev definiva “modernizzazione inaccettabile” la richiesta dei clienti Ue di prendere a riferimento gli hub (v. Staffetta 20/10/10). Nel 2011 lo stesso Medvedev definiva “illusione” l'abbandono dell'oil link. E nel triennio successivo il responsabile strutturazione contratti Komlev girava l'Europa argomentando l'inaffidabilità del prezzo spot e ammonendo i clienti Ue che passare ai prezzi a breve sarebbe equivalso a “scoperchiare il vaso di Pandora” (v. Staffetta 02/05/12). Dichiarazioni davanti a cui l'accordo della scorsa settimana sembra un'autentica inversione a U.
Per la verità resta da chiarire in che misura Gazprom abbia davvero “saltato il fosso”. Ossia se nella nuova formula negoziata con Eni il prezzo del gas dipenda ora interamente dall'andamento del mercato spot o solo per una quota. Eventualità entrambe possibili alla luce del comunicato Eni e delle successive dichiarazioni dell'a.d. Descalzi.
E' vero inoltre che già nel 2010 Gazprom aveva concesso, in quel caso per primi ai tedeschi di E.On, un ancoraggio ai prezzi spot per una quota minoritaria (tra 10% e 15%); che nel 2012 si era parlato di un contratto 100% spot con la britannica Centrica (v. Staffetta 21/09/12); e che in generale in questi anni Gazprom ha acconsentito a rinegoziazioni che di fatto riavvicinavano i prezzi a quelli dei mercati spot, pur facendo salvo il principio dell'oil link.
Tuttavia l'accordo di Eni - che permetterà inoltre al gruppo di ridurre più rapidamente la propria esposizione take or pay, che a fine 2013 si attestava ancora a 1,9 miliardi (dati bilancio Eni v. Staffetta 15/04) - si presenta come qualcosa di fondamentalmente diverso. Descalzi ha spiegato che per contratti “in genere legati al Brent” si è ottenuto che “il meccanismo fosse legato al mercato europeo”. Lasciando intendere un peso dello spot assai ampio. Il tutto per un “pieno allineamento con il mercato”. Che “pieno” sia riferito alla formula o solo al prezzo risultante è comunque un risultato che finora nessun cliente di Gazprom della rilevanza di Eni poteva vantare.
“La Russia ha mostrato che Eni è il suo ‘migliore amico' in Europa”, commenta un esperto internazionale di gas. Una strada, quella aperta dagli italiani, che fissa un grosso precedente. Ora tutti gli altri clienti europei chiederanno un trattamento simile, favorendo la transizione già in atto del mercato europeo verso un modello sempre più hub based.
Uno scenario, visto così, assai distante da quello di una Russia quasi onnipotente, che terrebbe i clienti europei per il collo con la minaccia di dirottare la propria produzione in Cina. Al contrario, come si notava già la scorsa settimana (v. Staffetta 23/05), l'obiettivo di Gazprom resta di preservare la propria presenza sul primo e più remunerativo dei suoi mercati. Anche a costo di concessioni di rilievo e con la non meno importante conseguenza di “spaccare” il fronte dei produttori.
Tentando di difendere la propria quota di mercato, infatti, Gazprom sta mettendo in seria difficoltà – con buona pace di chi teme un'Opec del gas - altri grandi esportatori meno inclini alle concessioni, come l'Algeria. Quest'ultima è da sempre indisponibile a ridiscutere il principio dell'oil link, al punto (complice anche, stando alle voci sempre più insistenti nel settore, di difficoltà sul fronte produttivo) di preferire vendere meno, rivedendo, come fatto lo scorso anno, i volumi dei contratti.
In un'intervista al quotidiano locale El Watan del 29 maggio l'ex numero uno di Sonatrach, Nazim Zouioueche, nota che ora Algeri “dovrà imperativamente fare uno sforzo sul fronte dei prezzi” o rischia di perdere terreno. Per l'Italia, di cui è il secondo (ex primo) fornitore, tale situazione rischia peraltro di incrementare ulteriormente il peso della Russia nel mix degli approvvigionamenti (almeno fino a che non partirà, se partirà, il Corridoio Sud).
Nel complesso i prossimi anni non si annunciano facili per i produttori: come ricorda questa settimana anche l'Economist, già dal 2018 la capacità globale di produzione di Gnl aumenterà di un terzo, per raddoppiare (se gli investimenti oggi previsti saranno confermati) già dal 2025. Se ciò non significa automaticamente che i fornitori storici ne usciranno sconfitti, è di sicuro per essi un gigantesco motivo di preoccupazione. Per i consumatori, se sapranno giocare bene le proprie carte, non può essere che una buona notizia.