Se la legge ti dà torto, cambia la legge. Si può riassumere così il senso dell'ultimo, e poco notato capitolo della saga dei sussidi energetici ad Alcoa e alle industrie di Terni. Tutto grazie a una norma, inserita ad aprile alla Camera nel Dl fiscale senza troppi clamori e precisata in giugno dal governo tecnico nel Dl crescita, che aumenta di fatto - ancorché per un periodo limitato - i sussidi riconosciuti ad Alcoa, Thyssen, Norsk Hydro e Cementir rispetto ai livelli originariamente fissati dalla legge.
Come molti ricorderanno, quando negli anni '90 tedeschi, norvegesi e Francesco Gaetano Caltagirone acquisirono dall'Iri gli asset di Terni Spa, la Legge 9/91 gli garantì il diritto a godere fino al 2001 e, in misura decrescente, fino al 2007 delle tariffe elettriche agevolate definite per la Terni nel 1963 dal Dpr 1165 (quando la nazionalizzazione dell'industria elettrica aveva portato all'esproprio dell'impianto idroelettrico di proprietà che alimentava il nucleo industriale). Analogamente, nel 1995, a valle dell'acquisizione di Alcoa da Efim degli impianti dell'alluminio sardi, il decreto ministeriale 19 dicembre 1995 fissò tariffe agevolate per la società americana fino al 2005.
Il diritto all'energia scontata fu confermato anche dopo la liberalizzazione del mercato elettrico e nel 1999, quando fu il momento di definire come garantirlo, l'Autorità per l'energia stabilì che le industrie beneficiarie avrebbero ricevuto una compensazione, da finanziare attraverso le bollette di tutti i consumatori, pari alla differenza tra il prezzo da esse pagato, allora pari alle tariffe amministrate per il settore industriale, e il prezzo agevolato fissato dalle norme del ‘91 e del '95.
Naturalmente il diritto alla compensazione fu fatto salvo anche nel caso in cui Alcoa e le ex Terni avessero scelto un fornitore diverso, abbandonando la tariffa amministrata a favore di un operatore del mercato libero. Circostanza che si è puntualmente verificata, via via che le industrie trovavano prezzi migliori sul mercato liberalizzato.
E qui, per paradossale che possa sembrare, è sorto il problema.
Com'era del tutto logico, tenuto conto che le norme del '91 e del '95 definivano puntualmente come calcolare la tariffa scontata a cui le industrie avevano diritto, l'Autorità nel 2004, nell'affidare il meccanismo alla Cassa Conguaglio, ricordò che in caso di passaggio al mercato libero a prezzi più bassi la compensazione erogata sarebbe stata pari alla differenza non più tra il prezzo amministrato e la tariffa speciale ma solo tra prezzo effettivamente pagato e la tariffa speciale stessa.
La cosa però non piacque ad Alcoa ed ex Terni, che fecero ricorso al Tar, ottenendo l'annullamento della delibera del 2004. Fu però un successo temporaneo perché qualche anno dopo fu il turno del Consiglio di Stato rimettere le cose nella giusta prospettiva: “se l'obiettivo perseguito dalle discipline che contemplano i trattamenti tariffari speciali è quello di far sì che le categorie beneficiarie possano approvvigionarsi di energia elettrica a livelli tariffari predeterminati – scrisse la VI sezione a dicembre 2011 - la ‘componente tariffaria compensativa' deve essere parametrata sul corrispettivo in concreto versato per approvvigionarsi di energia elettrica (...). Se così non fosse – concluse il Cds - in specie se si assumesse quale base di calcolo della ‘componente tariffaria compensativa' un valore diverso e più alto rispetto al quantum effettivamente pagato dai beneficiari, questi ultimi finirebbero per ottenere ingiustificatamente più di quanto loro attribuito dalle fonti normative”.
In sintesi se la tariffa garantita è 10 e sul mercato il beneficiario paga 20, avrà diritto riavere 10 e non di più. Diversamente finirebbe per pagare, di fatto, meno di quanto previsto dalla legge.
Tutto chiaro dunque? Non proprio perché a volte, se una norma non piace, si può sempre cambiarla. Così ad aprile un emendamento bipartisan di Marina Sereni (Pd) e Stefano Saglia (Pdl) al Dl fiscale (v. Staffetta 17/04), seguito a giugno da una norma del Dl crescita 83/12 (v. Staffetta 15/06), hanno capovolto le cose, incaricando l'Autorità di riconoscere a Alcoa fino al 2005 e alle industrie di Terni fino al 2007 un differenziale con le vecchie tariffe amministrate anche nel caso di passaggio al mercato libero, restituendogli così, a spese del consumatore, sovrapprezzi che non hanno mai pagato (v. Staffetta 19/10).
Anche in questo caso, come in altri analoghi (v. Staffetta 30/07), probabilmente i consumatori non si accorgeranno neppure dell'onere, sia perché si tratterà al più di qualche decina di milioni divisi tra quasi 30 milioni di bollette (i conti li sta ancora facendo la Cassa Conguaglio), sia perché almeno in parte lo hanno già pagato, prima che il regolatore chiedesse indietro il surplus indebitamente percepito (è ad esempio il caso di Alcoa per gli anni 2002-2004 v. Staffetta 06/12/11).
Tuttavia è inutile porsi l'obiettivo di ridurre i prezzi dell'energia se poi si lascia che costi inutili – lo stato di crisi di Alcoa e delle acciaierie di Terni non ci sfugge ma è difficile sostenere che il salvataggio di quei posti di lavoro passi da qui – si infilino ogni giorno tra le pieghe del sistema.