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Politica energetica internazionale
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Di cosa parliamo quando parliamo di decoupling di prezzo tra elettricità e gas

L'analisi di Simone Mori, a.d. di Eneosis e docente Luiss

Politica energetica internazionale

La via maestra al decoupling tra prezzi del gas e dell'elettricità, tema tornato nel dibattito anche grazie al rapporto Draghi, passa dagli investimenti in nuova capacità rinnovabile, favoriti da una semplificazione amministrativa, da un ampliamento su scala UE del sistema delle aste CfD e da una promozione dei Ppa anche con garanzie pubbliche. Sulla capacità esistente, invece, posto che ogni intervento coercitivo che imponga specifiche forme di contrattualizzazione violerebbe i principi di mercato, ciò non significa che non possano essere individuati strumenti volontari per coniugare gli interessi di produttori e consumatori, facendo leva sulle specificità delle tecnologie e sulla durata dei contratti. Lo argomenta nell'articolo che segue Simone Mori, a.d. di Eneosis, docente Luiss e esperto di lungo corso di regolazione e market design.

Con l'esplosione dei prezzi energetici durante la crisi del 2022 si è cominciato a parlare in modo insistente del decoupling fra il prezzo dell'energia elettrica e quello del gas naturale come misura per mitigare l'impatto sui consumatori dei picchi di costo delle materie prime energetiche, considerando che una fetta importante e crescente dell'elettricità in Europa viene prodotta con tecnologie che non utilizzano combustibili fossili, ovvero fonti rinnovabili e nucleare. Lo stesso Mario Draghi, nel rapporto sulla competitività europea, ne parla come di una delle misure possibili per ridurre i costi dell'energia per i consumatori, in particolar modo quelli industriali.

A ben guardare, il concetto è tutt'altro che nuovo. I cultori della materia ricorderanno il putiferio che si scatenò sui media (e purtroppo anche sui risparmi degli investitori) quando a fine 2008, con un decreto legge, fu introdotto un meccanismo di prezzatura dell'energia in borsa secondo il cosiddetto pay as bid, che riconosce ad ogni impianto il prezzo offerto, in sostituzione del system marginal price, tutt'ora applicato in quasi tutti i mercati evoluti del mondo e che prevede che tutti gli impianti chiamati a produrre in borsa vengano remunerati al prezzo di quello più costoso, generalmente alimentato a gas. A prescindere dalla conclusione di quella vicenda (la rivoluzione si interruppe quando fu a tutti chiaro che cambiare il meccanismo di prezzatura non avrebbe ridotto il costo medio dell'elettricità in borsa), il tentativo di allineare i prezzi che pagano i consumatori ai costi di produzione dell'energia elettrica è quindi tutt'altro che una novità.

Del resto, il meccanismo del prezzo dell'elettricità è sempre stato osservato con sospetto fin dalla liberalizzazione dei mercati: nonostante il system marginal price rifletta un principio che si trova nei libri di testo del primo anno di economia, ovvero che il prezzo di equilibrio di breve periodo in un mercato è pari al costo marginale di produzione, nel caso dell'elettricità si sono sempre accese discussioni in merito all'equità di un meccanismo che riconosce lo stesso prezzo anche a produttori che, operando con tecnologie a costi marginali molto bassi o al limite nulli quali le rinnovabili, sarebbero in teoria disponibili ad offrire energia a prezzi inferiori. La ragione di queste discussioni va cercata nella peculiarità del sistema elettrico: le centrali hanno una struttura di costo molto diversificata: quelle che bruciano combustibili fossili, quali gas o carbone, sono caratterizzate da costi fissi unitari relativamente contenuti e costi marginali che variano nel tempo con il prezzo dei combustibili, e sono quelle che normalmente determinano il prezzo nella borsa elettrica (price makers). Al contrario le centrali nucleari e rinnovabili – idroelettriche, eoliche e solari – hanno una struttura di costo prevalentemente fissa, determinata dal costo del capitale, e quindi il costo marginale della loro produzione aggiuntiva è molto basso se non addirittura nullo. La conseguenza di questo sistema è che, nella grande generalità dei casi, il prezzo delle borse elettriche viene fissato da centrali alimentate a gas naturale, di cui riflettono le oscillazioni di costo, mentre le fonti rinnovabili o il nucleare possono vendere la loro energia a un prezzo superiore rispetto al loro costo marginale ma sono soggette ad una volatilità nei ritorni che rende incerto e rischioso il recupero dei propri costi fissi.

I vantaggi dei mercati elettrici come sono stati concepiti in Europa e nel mondo occidentale sono evidenti. Il prezzo di mercato è trasparente e noto a tutti, si forma su piattaforme competitive e liquide e la sua variazione riflette le dinamiche dei fondamentali del mercato: domanda, offerta, disponibilità delle fonti, prezzo delle commodities. Ma ne sono chiari anche i limiti. La natura intrinsecamente volatile dei prezzi non aiuta a garantire la sicurezza del sistema elettrico, che esige una capacità produttiva superiore alla domanda, con la conseguenza di richiedere a parte delle centrali di funzionare, e quindi di registrare ricavi, per pochissime ore dell'anno. Inoltre, partecipazione alla borsa elettrica difficilmente riesce a promuovere investimenti in tecnologie, quali il nucleare e le rinnovabili, che essendo caratterizzate da un esborso ingente di capitale al momento della costruzione ma da costi di esercizio del tutto prevedibili e quasi nulli per i venti (per le rinnovabili) o cinquanta e oltre (per il nucleare) anni di esercizio, richiedono meccanismi di remunerazione certi e stabili nel tempo. Non è sbagliato affermare che il meccanismo del prezzo marginale, comune a tutti i mercati dei beni, nel caso dell'elettricità sia sempre stato considerato inevitabile ma, nello stesso tempo, carente: la copresenza di due cluster di impianti, caratterizzati da strutture di costo totalmente diverse, faceva sì che vi fosse il rischio di sovra-remunerazione di centrali rinnovabili e nucleari nei cicli di elevati prezzi del gas e, d'altro canto, fallimenti o sotto-investimenti nei cicli a prezzo basso per gli impianti a alti costi fissi.

Questi limiti intrinseci del mercato hanno portato i governi ad introdurre schemi complementari, quali i Contracts for Difference o i Capacity Mechanisms, per stimolare investimenti che non sarebbero altrimenti stati realizzati o per evitare la chiusura di impianti indispensabili per la sicurezza ma il cui mantenimento in esercizio non sarebbe economicamente giustificato. Schemi che hanno trovato applicazione, in una forma o nell'altra, nella stragrande maggioranza degli investimenti in nuova capacità di generazione realizzati in Europa dall'inizio di questo secolo.

Il decoupling è quindi tutt'altro che una novità, ma una realtà consolidata che trova da tempo applicazione, ad esempio in gran parte delle nuove fonti rinnovabili costruite in Europa attraverso aste competitive, che garantiscono un prezzo predeterminato stabile nel tempo ai migliori offerenti o, in misura crescente, attraverso contratti di lungo termine fra produttori e consumatori (i cosiddetti Power Purchase Agreements o PPA). E forme surrettizie di decoupling sono state largamente applicate in giro per l'Europa, con l'introduzione di limiti di prezzo per determinate tecnologie nei momenti di tensione sui mercati o interventi di moral suasion nei confronti dei produttori per spingerli a offrire energia a prezzi contenuti a determinate classi di consumatori. Non a caso, per evitare il proliferare di interventi da parte di governi e regolatori, la riforma del Marked Design UE ha definito in modo più stringente i casi specifici (crisi con picchi di prezzo eccezionali, necessità di proteggere consumatori deboli, ecc.) nei quali interventi di limitazione dei prezzi possono essere realizzati.

Ma allora, di cosa stiamo parlando? Una premessa: diamo per scontato che nessuno intenda vincolare la libera iniziativa di chi, realizzando un nuovo impianto, sia disposto assumersi un rischio di prezzo sui mercati e opti per un modello pienamente merchant: un eventuale vincolo in tal senso, oltre ad essere incompatibile con l'elementare rispetto delle logiche di mercato, cozzerebbe infatti anche con i fondamentali principi dei Trattati sulla libertà di stabilimento.

A cosa si riferiscono allora le molte proposte, a partire da quelle del rapporto Draghi per scivolare verso fantasiosi e non troppo realistici “green pools” riservati alle fonti rinnovabili?

La via maestra è quella che passa per la realizzazione, nel minor tempo e ai minori costi, degli investimenti previsti in fonti rinnovabili, ampliando l'offerta attraverso una semplificazione dei processi amministrativi, armonizzando ed allargando a livello europeo il perimetro dei tender per l'attribuzione dei CfD e favorendo, anche con forme di garanzia pubblica come proposto nel Rapporto Draghi, la sottoscrizione di PPA. Lo spostamento di quanta più energia possibile verso contratti di lungo termine riguarda anche la produzione da gas naturale. La crisi del 2022 ha reso evidente la necessità di superare il totem dei mercati spot, che aveva portato la Commissione a promuovere l'abbandono di tutte le forme di contrattualizzazione a lungo termine sia nell'approvvigionamento di gas naturale che di energia elettrica. Una maggiore disponibilità di contratti di acquisto di gas di lungo termine amplierebbe le opportunità di hedging, e quindi di stabilizzazione dei prezzi, anche per la produzione termoelettrica, che andrebbe a sommarsi agli effetti derivanti da un utilizzo “strutturale”, e non più per eccezione, dei meccanismi di capacity market, i quali possono svolgere by design un ruolo di calmiere dei prezzi spot.

Per quanto riguarda il parco di impianti esistente, chi parla di decoupling ha in mente essenzialmente un perimetro di centrali nucleari e idroelettriche “storiche” e, in misura minore, impianti solari ed eolici che hanno concluso il periodo di incentivo o che sono soggetti a meccanismi di incentivazione del tipo CfD a una via, che garantiscono un ricavo minimo ma non impongono limiti sui picchi di prezzo.

L'idea, a volte evocata, di intervenire con strumenti coercitivi di controllo dei prezzi su tali impianti, quali obblighi di contrattualizzazione dell'energia prodotta a prezzi regolati, contrasta sia con i principi fondamentali dei mercati liberalizzati che con i diritti di investitori e azionisti. Ma questo non significa che non possano essere individuati strumenti che cerchino di coniugare gli interessi delle due parti, produttori e consumatori, facendo leva sulle specificità delle tecnologie e sulla durata dei contratti stessi. Ad esempio, aste competitive per offrire CfD agli impianti esistenti potrebbero risultare interessanti per i produttori eliminando il rischio di volatilità di lungo termine. Meccanismi del genere, con partecipazione volontaria e per quanto possibile armonizzati a livello europeo, avrebbero anche il vantaggio di offrire un segnale di prezzo più significativo alle imprese che intendono stipulare liberamente dei PPA. L'accesa discussione avvenuta in Consiglio Europeo durante l'approvazione del Market Design elettrico riguardo alla proposta francese di estendere alle centrali nucleari esistenti, ma soggette ad interventi di ammodernamento, la possibilità di accedere a CfD analoghi a quelli previsti per le fonti rinnovabili si inserisce in questo ambito. Ovviamente, una standardizzazione di questi meccanismi all'interno del market frame europeo avrebbe anche il vantaggio di evitare che tali strumenti vengano proposti solo in contesti di crisi, con tutte le conseguenze negative tipiche delle decisioni emergenziali.

Ancora, nei futuri tender per assegnare CfD destinati a nuovi impianti rinnovabili potrebbe essere inserita una previsione che limita i picchi di prezzo dell'energia prodotta al termine del periodo di durata del contratto. In tal modo, si consentirebbe a chi partecipa all'asta una corretta valutazione del valore terminale dell'investimento evitando che, in caso di forti oscillazioni, i consumatori debbano pagare un prezzo eccessivo per acquistare energia da centrali largamente ammortizzate.

Un'ultima considerazione, che riguarda la domanda: a chi deve essere destinata la crescente quota di energia prodotta al di fuori dei mercati spot organizzati? I costi o i benefici derivanti dalle aste per le rinnovabili vengono oggi generalmente ripartiti fra tutti i consumatori. In futuro, si potrebbe immaginare di indirizzare verso specifici segmenti di domanda (ad esempio le industrie più esposte alla concorrenza internazionale) parte dell'energia acquistata centralmente dai soggetti pubblici (quali il Gse in Italia). Idealmente, ciò potrebbe avvenire mediante criteri di ripartizione armonizzati a livello europeo, ove possibile con meccanismi concorrenziali, in modo da ridurre il rischio, oggi assai presente, di distorsioni competitive fra diversi paesi derivanti da una applicazione sempre più pervasiva degli aiuti di Stato.



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