C'è un motivo se la norma per gli sgravi agli energivori, attesa da anni dall'industria manifatturiera italiana, ha fatto e fa ancora fatica ad avanzare. Prima però che nel lavoro delle forze politiche contrarie, che pure ci sono, va cercata nel grave errore, commesso dal ministro Calenda e da Confindustria (sponsor della misura), di derubricare a partita amministrativa una questione politica, quella dell'allocazione degli oneri di sistema al settore energy intensive. Errore peraltro sempre più diffuso in fatto di parafiscalità energetica in generale.
Il meccanismo si basa su una riallocazione di oneri tra categorie di contribuenti - in questo caso gli oneri per il finanziamento degli incentivi alle rinnovabili tra le varie tipologie di consumatori elettrici - spostando circa 1,4 miliardi di euro all'anno di imposizione, dalle bollette delle industrie energy intensive a quelle degli altri, famiglie e altre imprese.
Evidente il carattere redistributivo della misura, presentata però sempre da Calenda come un semplice “sconto” all'industria nazionale, senza mai dire a carico di chi. Una scelta di tenere un basso profilo, nella speranza forse di far passare in sordina il dossier, che però non solo contrasta cogli obblighi di trasparenza di un ministro della Repubblica, ma che trascurava anche una dettaglio fondamentale: che la norma, per partire, doveva comunque passare dal Parlamento. Dove puntualmente sono arrivati i problemi.
Non tanto a causa del M5S, sconclusionatamente accusato qualche giorno fa di bloccarla, quanto per le divisioni e le reticenze della stessa maggioranza, evidenti già nelle scorse settimane nei tentativi falliti di inserire la norma nel decreto Mezzogiorno (subendo lo stop del Cdm) poi in vari emendamenti, rigorosamente mai firmati dal governo né dai relatori. Segno non solo dei dubbi del Pd ma anche dell'indisponibilità diffusa in governo e maggioranza a mettere la faccia su una norma “impopolare”, pur magari sostenendola.
Un mix esplosivo sfociato nel pasticcio di questi giorni alla Camera, dove si è tentato un improvvisato “compromesso” poi sostanzialmente fallito.
Dopo l'ennesimo emendamento a vuoto (Sanna), il Pd ha messo a punto una formula in grado di addolcire la pillola per l'elettorato: via libera agli sgravi agli energivori ma al contempo una parte degli altri consumatori (solo famiglie e imprese alimentate in bassa tensione) avrebbero avuto un contro-sgravio. Con danno a quel punto degli esclusi da entrambe le agevolazioni (imprese non in bassa tensione e non energivore). Ma, insomma, qualcuno deve pur pagare e la signora Maria sarebbe stata salva. Salvo però rendersi poi conto che la formula, oltre che iniqua verso le PMI, avrebbe riaperto il calvario negoziale con Bruxelles. Da qui la scelta in extremis di rimangiarsela, sperando a quel punto che nessuno capisse l'accaduto (e in effetti probabilmente pochi lo hanno capito).
Un dato emerge ancora una volta da questa giostra: l'incapacità dell'Italia di prendere una decisione su un nodo politico importante come quello degli energivori.
Lo si è già notato (v. Staffetta 18/10/13): redistribuire il carico degli oneri di sistema a favore dell'industria energivora per sostenerne la competitività è una scelta che un Governo può legittimamente fare, oltre che consentita dalle le norme Ue. Dev'essere chiaro però che si tratta di una scelta politica, da meditare, analizzare e, una volta presa, presentare senza timori ai cittadini chiamati a sostenerla (col voto e col portafoglio). Ricordando che, come altre scelte di finanza pubblica ad essa in tutto assimilabili (si pensi al taglio del cuneo fiscale, dell'Irpef o dell'Irap) riguarda l'allocazione di ricorse scarse, a beneficio solo di alcune categorie e spesso con un malus per altre.
Con altri argomenti si potrebbero sostenere necessità opposte: favorire le famiglie a scapito delle grandi industrie, o penalizzare entrambe per favorire le PMI o ancora ridurre le bollette a tutti tagliando a monte i diritti dei percettori degli oneri di sistema. Non sono esempi a caso, in questi anni si sono visti tutti all'opera: oggi gli energivori, ieri il tagliabollete per le PMI, mercoledì alla Camera (anche se per un istante) i piccoli consumatori. Un pendolo esasperante, quando invece si dovrebbe semplicemente scegliere. E mettendoci la faccia, prendendo posizione - cosa che ad oggi tanto i favorevoli quanto i contrari agli sgravi continuano a non fare - non dietro le quinte o nel chiuso delle stanze ministeriali.
Questione analoga si pone sul nodo, in un certo senso connesso, della riduzione progressiva degli oneri di sistema per le rinnovabili con la scadenza in questi anni delle vecchie convenzioni. Un minor fabbisogno di incentivi oggetto, si potrebbe dire, di una sorta di diffusa “sindrome dell'arto fantasma”.
Dopo il picco di 16 miliardi nel 2016, il “monte A3” delle tariffe sta finalmente iniziando a scendere: nel 2017 sono già due miliardi/anno in meno dell'anno precedente, che saliranno a 2,7 miliardi nel 2020. Un importo - questo il punto - che viene da più parti considerato automaticamente risorsa disponibile per altri investimenti, come tradisce lo stesso emendamento Pd sugli energivori (“Le risorse derivanti dal minor fabbisogno A3”).
Ciò quantomeno non è scontato. Se una famiglia, per errore o necessità, contrae un debito troppo oneroso, la prima cosa che farà finendo di rimborsarlo sarà un sospiro di sollievo, non certo pensare subito a un altro impegno con la stessa rata. Il picco di 16 miliardi della A3 non è una grandezza fissa che il Parlamento abbia stanziato stabilmente per le politiche di sostenibilità (né di altro tipo). E' una semplice variabile dipendente delle scelte normative passate e del numero di convenzioni attivate: scadute le convenzioni, scomparso l'onere.
Immaginarla diversamente ovviamente è lecito: non da ieri circolano nel settore ipotesi di mantenere almeno parte dell'onere 2016 (tanto, si dice, i consumatori ci sono già abituati) per finanziare rinnovabili o efficienza o perché no l'auto elettrica.
Tutte ipotesi legittime, pensabili, discutibili (anche se per la verità l'emendamento Pd sugli energivori potrebbe, forse involontariamente, aver sbarrato a monte una simile strada, come denunciava ieri il Free). Purché però sia chiaro un punto: che si tratta di scelte allocative di risorse pubbliche, allo stesso titolo di altre misure fiscali a cui gli italiani sono più avvezzi. E come tali vanno trattate, con la dovuta serietà e trasparenza e con un adeguato dibattito.
Un punto, si sottolineava ieri (v. Staffetta 20/07), che invece pare ancora tutt'altro che acquisito. Questo hanno in comune la vicenda energivori e il nodo del futuro dell'A3: il livello di trasparenza sulla (para)fiscalità energetica e la consapevolezza nel dibattito pubblico sulla sua importanza sono assolutamente inadeguati all'entità delle risorse coinvolte e al rilievo politico della loro destinazione, e questo può giocare a favore di scelte opache e inefficenti.
Le stesse misure di rendicontazione attualmente richieste ai soggetti deputati, si potrebbe aggiungere, sono insufficienti. Solo da poco abbiamo iniziato a conoscere i nomi dei percettori degli incentivi del Gse (ci è voluta una norma). Ogni trimestre nelle delibere dell'Autorità si legge che le varie componenti vengono aumentate o ridotte in relazione a una certa giacenza e un certo fabbisogno dei conti della Cassa Csea, senza però che sia comprensibile (a meno di un calcolo complicatissimo e per il quale non sempre sono disponibili le grandezze) la misura complessiva delle variazioni, con quali precise differenze di impatto tra le varie categorie di clienti, con quali variazioni sugli anni precedenti, con quali eventuali scelte di anticipo o dilazione rispetto ai fabbisogni passati e previsti dei conti, che non sono indicati. Servirebbe una reportistica di sintesi, periodica e comprensibile non solo agli addetti ai lavori.
Gli oneri di sistema muovono grandi risorse e sono strumenti di politica energetica e industriale. Checché ne dica l'ordinamento italiano, la Corte Ue ha chiarito che hanno natura fiscale. Vanno trattati, prima di tutto dalla politica, con lo stesso livello di attenzione, serietà e trasparenza verso i cittadini.