Gli acquedotti italiani hanno un potenziale teorico di risparmio idrico pari a 2,7 miliardi di mc l'anno, con un conseguente risparmio energetico di oltre 2 TWh, vale a dire un minor costo di 370 milioni di euro annui: è la stima contenuta nella prima edizione del “Water Management Report” (in allegato) realizzato dall'Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano e presentato ieri (v. Staffetta 09/01). La stima è ottenuta ipotizzando che ogni acquedotto in Itali porti le proprie dispersioni idriche a un livello fisiologico del 10% e considerando un costo medio dell'energia per i gestori pari a 0,17 euro/kWh, a fronte di un consumo medio di 0,78 kWg/mc. Più realisticamente, rileva il report, si può stimare un potenziale “raggiungibile” di risparmio idrico in 5 anni, immaginando una riduzione delle perdite del 10% (dal 40,66% del 2015, stimato a partire dai dati Istat sui capoluoghi di Provincia, al 30,66%): si risparmierebbero 1,2 miliardi di mc d'acqua e poco meno di 1 TWh di energia l'anno, per un taglio di costi superiore a 160 milioni di euro. Ciò grazie a “interventi orientati al lungo periodo di risanamento e sostituzione delle tubature per ridurre il livello delle perdite”, spiega un comunicato, e dunque a una gestione efficiente della risorsa. A tal fine vanno incentivati opportuni investimenti.
Il report non si limita ad affrontare la questione per quel che riguarda la rete civile, ma volge lo sguardo anche all'industria, dove sono analizzati cinque sotto-settori nell'ambito della chimica, siderurgia, lavorazione di minerali non metalliferi, produzione della carta e tessile, che complessivamente coprono circa il 55% dei consumi totali di acqua nel comparto industriale, individuando anche in questi casi le opportunità di efficientamento e i relativi tempi di pay-back. Analizzando le principali fonti di approvvigionamento di acqua dolce per settori, il documento riporta che in Italia il volume totale prelevato dall'ambiente è stimato nel 2015 in circa 33,7 miliardi di metri cubi: circa il 50,45% (17 miliardi di mc) in agricoltura, che consuma 14,5 miliardi di mc d'acqua ma utilizza solo marginalmente la rete idrica e ha il consumo energetico più basso (un focus sul settore agricolo sarà fornito nella seconda edizione del “Water Management Report”, in uscita a fine anno); il 22,85% (7,7 miliardi di mc) per l'industria, che consuma 6,9 miliardi di mc basandosi soprattutto su sistemi di prelievo dedicati e, in misura minore, su acque superficiali, consorzi e rete civile; il settore civile, che si approvvigiona quasi esclusivamente dalla rete idrica, preleva il 26,70% (9 miliardi di mc), consumando 4,8 miliardi di mc d'acqua. Le perdite della rete civile, sottolinea il report, sono aumentate tra il 2012 e il 2015 (da una media del 37,19% al 40,66%, con punte di oltre il 50% nel Centro Sud). Pertanto, “una corretta gestione della risorsa idrica e dei consumi energetici associati diventa fondamentale”.
“Migliorare l'efficienza della rete idrica italiana promette importanti vantaggi – afferma Vittorio Chiesa, direttore dell'Energy&Strategy Group – ma occorre migliorare il coinvolgimento e la collaborazione tra gli stakeholder. Nel caso della rete civile, per esempio, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (Aeegsi), i soggetti gestori degli Ambiti territoriali ottimali (Ato), i manutentori della rete idrica civile, i grossisti e i fornitori di tecnologie devono camminare insieme verso l'obiettivo di ridurre le perdite lungo tutta la rete sfruttando le opportunità connesse al nuovo sistema tariffario e utilizzando al meglio tutte le tecnologie”. È proprio nel nuovo sistema tariffario che gli investimenti nel settore idrico devono trovare la principale fonte di finanziamento, rimarca l'Energy&Strategy Group (a fine 2015 risultavano finanziati con risorse pubbliche 5.812 interventi per un importo totale di circa 11,85 miliardi di euro), “ma la normativa dovrebbe avviare un circolo virtuoso che leghi maggiori investimenti a migliori remunerazioni”, afferma Chiesa.
Nel dettaglio, a proposito della rete civile, il comunicato evidenzia che “settore idrico italiano è regolato e gli investimenti sembrano essere remunerati a sufficienza. Tuttavia occorre migliorare il trade-off tra la remunerazione degli investimenti e il sistema tariffario: per aumentare la convenienza, la normativa dovrebbe esplicitare agli operatori ‘come' investire, ossia quali materiali, quali tecnologie e quali tecniche utilizzare, in modo da avviare un circolo virtuoso”. Ad esempio, lo studio evidenzia le opportunità offerte dalle tecniche no-dig per opere di risanamento e sostituzione con costi e impatto ambientale meno elevati. Per raggiungere gli obiettivi di risparmio idrico-energetico indicati nel report, si sottolinea, è “necessaria l'azione congiunta dei soggetti gestori, che devono promuovere i nuovi sistemi di incentivazione e provare a ragionare in un'ottica pluriennale con interventi di lungo periodo, e dei policymakers, che devono favorire gli investimenti e combattere gli allacciamenti abusivi”.
Anche nell'industria “esistono numerosi sistemi, grazie all'evoluzione tecnologica, che consentirebbero sia una riduzione dei consumi d'acqua sia un incremento della profittabilità – evidenzia il direttore dell'Energy&Strategy Group –, così come ci sono opportunità di efficientamento poco sfruttate perché si scontrano con costi della ‘materia prima acqua' piuttosto bassi. In questo senso è importante che i policymakers definiscano delle condizioni normative e fiscali adatte a favorire gli investimenti che mirino a risparmiare acqua dolce. Si può innescare un percorso virtuoso di utilizzo sostenibile della risorsa idrica soprattutto se si sensibilizzeranno tutti gli attori, pubblici e privati, sul tema del water management e si renderà conveniente investire”.
Dei 6,9 miliardi di mc di acqua dolce consumati nel 2015 dal settore industriale, 5,5 miliardi sono andati al manifatturiero e 1,4 miliardi alla produzione di energia. Per ciascuno dei cinque settori più intensivi sia per consumo di acqua che per rapporto tra consumo idrico e produzione venduta, sono stati approfonditi specifici sub-settori: la produzione del PET nel chimico, la siderurgia elettrica nel siderurgico, la produzione di ceramica nella lavorazione di minerali non metalliferi, la produzione di carta e cartone nel settore della carta e quella di lana nel tessile, mappando le tecniche utilizzate per il risparmio di acqua e valutando i risparmi idrico-energetici associati. Per ogni sub-settore si è poi definita un'impresa “di riferimento” e per ciascuna delle tecniche implementabili si è svolta un'analisi delle opportunità di efficientamento idrico ed energetico, valutandone la convenienza economica e calcolando i tempi di ritorno dei possibili investimenti. “In tutti i sub-settori studiati – spiega l'Energy&Strategy Group – si possono ottenere notevoli risparmi, tuttavia è necessario che l'acqua abbia un certo costo diretto di approvvigionamento (da acque superficiali o sotterranee, o da rete idrica), perché questo influenza significativamente la decisione delle imprese di investire o no nelle tecniche analizzate”.
Questa prima edizione del “Water Management Report”, informa il comunicato, sarà seguita da approfondimenti successivi: per quanto riguarda la rete idrica, verrà monitorato lo stato di avanzamento degli interventi descritti per verificare gli effettivi passi in avanti e allargare l'analisi alle due attività del ciclo idrico integrato, fognatura e depurazione, che non sono state approfondite in questa occasione; per quanto riguarda i settori industriali, verranno presi in esame i macro-settori complessivi, per valutare a 360° il potenziale di efficientamento idrico-energetico.