La questione delle aree su cui installare gli impianti eolici e fotovoltaici e le batterie è centrale per la transizione: spesso si è sottovalutato il fatto che le rinnovabili hanno una densità energetica minore delle fonti fossili che dovrebbero sostituire e che quindi, a parità di produzione, necessitano di molto più spazio. Parlare di territorio, dello spazio in cui viviamo, significa parlare di politica. Negli ultimi due decenni, invece, il tema di dove mettere gli impianti è stato per lo più relegato a un ambito tecnico, da specialisti. Il risultato è stato un'alternanza più o meno schizofrenica tra moratorie e deregulation.
Nell'anno che va a concludersi, la questione ha guadagnato un ruolo di primo piano nel dibattito sulla politica energetica nazionale (almeno per quanto riguarda la transizione nel settore elettrico che, anche qui è sempre bene tenerlo a mente, copre il 20% circa del fabbisogno nazionale di energia).
Da qui nasce la decisione della Staffetta di conferire il riconoscimento di persona dell'anno alla presidente della Regione autonoma della Sardegna Alessandra Todde – in sostanziale continuità con lo scorso anno (v. Staffetta 22/12/23).
In sintesi, Todde ha portato la questione delle aree idonee sul piano che le è proprio: un piano pienamente politico. A partire dalla vittoria alle elezioni regionali nel febbraio scorso, nelle quali i temi della “moratoria” e della “speculazione” (approfonditi nell'intervista) sono stati centrali e condivisi in modo unanime da tutti i candidati; poi, in estate, la dura trattativa con il Mase sulla definizione del decreto Aree idonee in Conferenza unificata, con uno scontro aperto sulle prerogative dello Stato e delle Regioni; infine, la Regione Sardegna è stata la prima a definire le stesse aree idonee con legge, come previsto dal decreto ministeriale. Un percorso significativo, a prescindere dal giudizio sui contenuti delle decisioni prese.
La stessa Staffetta non ha mai risparmiato critiche anche dure alla stessa Todde e al M5S (nel momento del loro apogeo, tra l'altro), a partire proprio da alcune banalizzazioni del tema della transizione: dall'idea per cui per fare la transizione bastasse sostituire un MW termoelettrico con un MW rinnovabile (v. Staffetta 24/03/21) alla convinzione che i tempi si potessero accelerare un po' a piacimento, ad esempio per il phase out del carbone (v. Staffetta 04/02/21). Evidentemente, il confronto con i territori fornisce buoni spunti per elaborare convinzioni e soluzioni più articolate e realistiche. Senza dimenticare che la stessa Todde ha fatto parte della compagine del governo Draghi, come vice ministra dello Sviluppo economico, un governo che ha approvato alcune tra le misure più potenti di semplificazione e accentramento delle competenze in materia.
La definizione, in estate, del decreto ministeriale sulle aree idonee ha rappresentato un punto di svolta negli equilibri fra poteri sulle questioni energetiche: il pendolo è tornato spostarsi dal polo “centralizzazione/semplificazione” a quello “decentramento/regole”. E le altre Regioni, pur con sensibilità diverse sul tema, hanno ovviamente accolto quanto meno con interesse una decisione che ne rafforza le prerogative, inserendosi nel solco tracciato dalla Sardegna.
Ovviamente le scelte della Sardegna, come quelle delle altre Regioni, andranno vagliate. E molto probabilmente ci sarà un forte aumento del contenzioso, e questo non è mai un bene. D'altronde, il governo sardo ha dovuto far fronte anche alle spinte più estreme di chi voleva uno stop totale, arrivando a veri e propri sabotaggi. Far finta che queste realtà non esistano, o magari addebitare scelte che non si condividono a complotti, corruzione, asservimento a poteri forti, non aiuta a far evolvere il dibattito.
L'insofferenza di alcuni territori verso le rinnovabili non nasce da cause occulte. Da qualche anno, per chi lo vuole vedere, il settore è surriscaldato. Mentre pensosi commentatori lamentavano ancora i ritardi dell'Italia sulle rinnovabili e fini analisti prevedevano scenari grami per l'energia verde, la Staffetta si chinava a raccogliere i numeri che di settimana in settimana descrivevano un risveglio importante, un ritmo “da Pniec” per istanze e autorizzazioni. Un'onda che montava mentre ancora si chiedevano più semplificazioni, tempi più brevi, meno vincoli – senza preoccuparsi, tra l'altro, di potenziare proporzionalmente la macchina amministrativa.
Anche questa onda ha portato Todde a guidare la Sardegna, dove il fenomeno ha assunto caratteristiche peculiari, generando reazione anche isteriche. Ma il fenomeno non può essere “spiegato via”. Governare la transizione significa anche (soprattutto) farsi carico di questo problema.
Nota a margine. È singolare come alcune parole chiave di Todde sulla transizione tendano a somigliare a quelle dell'attuale maggioranza di governo: la transizione deve essere ambientale ed energetica ma anche sociale ed economica; meno ideologia e più pragmatismo – esempio: apertura sulla conversione a gas delle centrali a carbone e addirittura sul tema delle miniere. Posizioni che evidentemente nascono dal confronto con il territorio, e che quindi hanno una concretezza che a volte manca a chi lamenta l'andazzo delle politiche sulla transizione ecologica ma poi, al momento di proporre alternative, fatica a discostarsi dal business as usual.